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Prontə a scoprire un altro ecosistema a cavallo tra terra e mare? In questo secondo articolo della rubrica sulle acque di transizione, Worldrise vi accompagnerà in un viaggio attraverso le lagune costiere.

Cosa intendiamo per “laguna”?

Secondo la definizione fornita dall’enciclopedia Treccani, la laguna è un “bacino acqueo costiero, separato dal mare da un cordone litorale interrotto da bocche di accesso, e nel quale emergono spesso formazioni insulari”. Più semplicemente, con il termine “laguna” si intende uno specchio d’acqua salmastra di origine marina, separato dal mare aperto da isole o barriere parallele alla linea di costa, formatesi a seguito dell’accumulo progressivo di materiale dovuto al particolare moto idrodinamico che può essere osservato in questo contesto.

Rappresentando uno degli ecosistemi di transizione più diffusi al mondo, le lagune sono frequenti lungo coste generalmente basse, spesso in prossimità delle foci di grandi fiumi e interessate da escursioni di marea sensibili. Arrivano a costituire addirittura più del 10% delle coste mondiali! Lungo il Mar Mediterraneo si contano centinaia di lagune costiere, per una superficie complessiva di 6500 km2, e molte di esse si trovano in Italia: sono famose le lagune di Orbetello, Lesina, Venezia, Varano, Marsala, Faro e Ganzirri, Sabaudia e Cabras.

Immagine satellitare di una delle lagune più famose, quella di Venezia – foto via Cities on Water Archive, researchgate.net

Elementi chiave e zonazione

Il sistema lagunare è formato da:

  1. un input di acqua dolce proveniente dal fiume,
  2. la presenza di cordoni litoranei o isole, costituiti da depositi derivanti dall’apporto solido di origine fluviale o dall’erosione costiera, che rendono il bacino semi-chiuso, separandolo dal mare antistante;
  3. la zona delle bocche, a livello delle quali si ha lo scambio tra l’acqua marina esterna e quella salmastra interna (l’assenza di questo elemento porta alla formazione di laghi e stagni costieri),
  4. la presenza di un bacino di drenaggio, attraverso cui l’acqua penetra nel terreno.

Un fine equilibrio si instaura tra la velocità d’innalzamento del livello del mare, la quantità di apporti terrigeni sabbiosi, il trasporto di sedimento lungo le rive e le condizioni climatiche, per garantire la presenza e il buon funzionamento del sistema lagunare.

L’ambiente lagunare rientra nel cosiddetto dominio paralico, un concetto introdotto dagli studiosi Perthuisot J.P. e Guelorget O. nel 1992. Tale area può essere suddivisa in 6 zone, attraverso le quali si osserva il progressivo passaggio dall’ambiente dulciacquicolo a quello più strettamente marino. Infatti, così come succede in altri ambienti di transizione, come le paludi salmastre, anche nel caso delle lagune si riscontrano ampie e irregolari fluttuazioni spaziali e temporali delle variabili chimico-fisiche, che determinano una biodiversità notevole e un sistema di zonazione.

La suddivisione del dominio paralico nelle 6 zone descritte da Guelorget e Perthuisot (1983) – immagine via researchgate.net

In generale, la biomassa e la biodiversità delle comunità bentoniche aumentano proporzionalmente alla salinità: dalle ricche praterie di fanerogame marine (es. Posidonia oceanica) dominate da specie stenoaline, come la stella Asterina gibbosa, il cetriolo di mare Holothuria polii e il riccio Paracentrotus lividus, si passa ad una fauna in grado di sopravvivere e/o prosperare in acque salmastre (es. la vongola verace Ruditapes decussatus e il polichete Hediste diversicolor), fino ad organismi tipici di acque dolci, come le larve degli insetti Chironomidi.

Da cosa sono caratterizzate le lagune?

In generale, le lagune sono caratterizzate da:

  • ampie variazioni spazio-temporali di salinità, correlate a evaporazione, precipitazioni e runoff fluviale;
  • forte escursione termica stagionale, che determina una ciclicità annuale nelle comunità di macroinvertebrati che vivono sul fondo;
  • idrodinamismo ridotto e possibile stratificazione della colonna d’acqua;
  • mescolamento verticale, dovuto principalmente all’azione del vento, vista la bassa profondità del bacino lagunare;
  • apporti continui di detrito, materia organica e nutrienti inorganici;
  • produzione primaria elevata, sia fitoplantonica (principalmente a carico di diatomee e cianobatteri) che fitobentonica (macrofite e macroalghe).

Isola di Barbana, Laguna di Grado, Grado (Provincia di Gorizia), Italia – foto di Marcok via it.wikipedia

Come abbiamo visto per le marsh grasses nelle paludi salmastre, anche le fanerogame marine presenti nelle lagune, come le specie appartenenti ai generi Zostera e Ruppia, non vengono pascolate dagli organismi acquatici, in quanto ricche di tannini e, quindi, difficilmente digeribili. Queste piante, però, entrano a far parte della catena del detrito: è per questo motivo che le lagune si comportano come vere e proprie “trappole di detrito”. I residui organici presenti nelle acque lagunari, infatti, vengono dapprima sminuzzati, triturati e modificati ad opera degli organismi detritivori e via via diventano attaccabili dai decompositori, come batteri e funghi, che li ri-mineralizzano (ovvero degradano le sostanze organiche provenienti dagli esseri viventi fino alla loro completa trasformazione in composti inorganici semplici), mettendo nuovamente in circolo i costituenti primari (per l’appunto, i minerali) che tornano così ad essere a disposizione degli autotrofi (alghe e piante). Batteri e funghi entrano poi a far parte della catena trofica classica e verranno predati da nanoflagellati eterotrofi, cioè protozoi, e dalla meiofauna (piccoli invertebrati bentonici, come, ad esempio, i nematodi). 

Fanerogame nella laguna veneta – foto via venicethefuture.com

Il ruolo della risospensione in laguna è molto importante perché agevola il riciclo dei nutrienti, favorisce gli scambi tra acqua e sedimento, rifornisce il plancton di particelle organiche e permette l’export ai sistemi adiacenti.

I servizi ecosistemici e le minacce

A causa della loro elevata produttività, le lagune sono considerate dei siti storici di prelievo.

Questi ecosistemi, infatti, ospitano i riproduttori e le fasi giovanili di alcune specie di importanza commerciale come orate, spigole e cefali. In genere, vengono qui usati sistemi di pesca tradizionale e acquacoltura estensiva, come reti da posta, che convogliano il pesce verso una rete finale, vallicoltura di molluschi bivalvi come la vongola, mitilicoltura, pesca dei molluschi con le draghe e, nelle valli del delta del Po e di Comacchio, i lavorieri, impianti fissi destinato alla cattura dei pesci maturi che, dalla laguna o dalle foci dei fiumi, tornano al mare per riprodursi.

Esempio di lavoriero nella valle di Comacchio – foto via viaggiallafinedelmondo.it

Essendo dei bacini semichiusi, le lagune sono facilmente soggette a fenomeni di eutrofizzazione: il dilavamento delle terre coltivate e l’apporto fluviale, infatti, costituiscono un input elevato di nutrienti e materia organica, la cui degradazione anaerobica porterà al consumo di ossigeno e alla produzione di CO2

In caso di eutrofizzazione, inoltre, le fanerogame vengono sostituite da imponenti letti macroalgali, come quelli formati da Ulva spp. (specie nitrofile, che ritroviamo in ambienti con alte concentrazioni di nitrati) o Enteromorpha spp. Queste specie, durante il periodo vegetativo, vivono inizialmente sospese nella colonna d’acqua, per poi adagiarsi all’interfaccia acqua-sedimento all’inizio dell’estate, creando un letto che, decomponendosi, porta a fenomeni di ipossia/anossia

Ulteriori condizioni sfavorevoli, come l’intrinseco lento ricambio idrico del sistema lagunare e le elevate temperature delle masse d’acqua, possono concorrere alla determinazione di morie massive di organismi bentonici, come i bivalvi, o dell’intera fauna ittica.

Episodio di proliferazione algale massiva nella laguna di Venezia – foto via greenplanet.net

L’attuale status di protezione

La conservazione di questi habitat dipende in gran parte dalla valutazione delle loro caratteristiche naturali e, in particolare, dalla loro biodiversità, che è uno dei principali criteri utilizzati per lo sviluppo di politiche di protezione delle zone umide (Ramsar Convention Bureau, 2005). Ad esempio, la composizione e l’abbondanza di invertebrati bentonici è uno degli elementi più importanti da tenere in considerazione, così come la presenza di insetti appartenenti agli ordini di Coleoptera ed Hemiptera, due dei gruppi più comuni in questi ambienti e notevolmente importanti per quanto riguarda la catena alimentare degli ambienti d’acqua dolce.

A livello dell’Unione Europea, la protezione di questi ecosistemi è stata designata come prioritaria dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE nell’Annex I (“natural habitat types of community interest whose conservation requires the designation of special areas of conservation”). 771 di questi habitat sono stati inseriti nella rete Natura 2000, ovvero un network ecologico che ha il fine di promuovere progetti di restaurazione e protezione, in conformità con gli obiettivi stilati nella Direttiva Habitat. 

La laguna di Balos, Creta – foto di Arthur Yeti via Unsplash

All’interno delle acque di transizione ritroviamo anche i fiordi, argomento di cui parleremo nel prossimo articolo della rubrica. Curiosə di conoscere la biodiversità che si cela dietro questi meravigliosi ecosistemi?

Bibliografia e sitografia:
Autrice: Pamela Lattanzi

Pamela è attualmente una borsista presso il CNR (Centro Nazionale delle Ricerche), recentemente laureata in Biologia Marina. Per lei la divulgazione è la chiave che permette di rendere la scienza accessibile a tutti. Se fosse un animale marino sarebbe un idrozoo, uno cnidario coloniale che sembra fragile, ma in realtà è incredibilmente resistente e spesso in grado di adattarsi bene alle circostanze più varie.

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