Dopo aver guardato Seaspiracy, docufilm che racconta atrocità, corruzione e segreti della pesca industriale, Worldrise analizza aspetti positivi e negativi di questo tipo di narrazione, con un focus specifico sulle iniziative che, insieme, stiamo portando avanti per un consumo consapevole e responsabile delle risorse ittiche.
Disponibile sulla piattaforma di streaming Netflix da circa un mese, il nuovo documentario Seaspiracy, diretto dal videomaker britannico Ali Tabrizi, ha suscitato da subito molto scalpore, mostrando al grande pubblico atrocità, corruzione e segreti della pesca industriale e mettendo in luce le gravi minacce determinate da questo settore sulla salute pubblica, i lavoratori, l’ambiente e la biodiversità marina.
Ma è davvero tutto oro quello che luccica? Il documentario esplora importanti hot topics legati alla pesca industriale e incoraggia fortemente gli spettatori a riconsiderare l’impatto delle proprie scelte, individuali e a livello di comunità, per la salute dell’Oceano e, di conseguenza, della nostra stessa vita. É importante, però, riconoscere che la panoramica proposta da Seaspiracy non mostra il quadro completo dei problemi né, tantomeno, il lavoro fatto – e che si continua a fare – per affrontarli, oltre a riportare studi superati e dati incorretti.
Dopo aver guardato con attenzione il documentario, Worldrise analizza aspetti positivi e negativi di questo tipo di narrazione, con un focus specifico sulle iniziative che, insieme, stiamo portando avanti per un consumo consapevole e responsabile delle risorse ittiche.
3 NOTE POSITIVE
Il documentario rende noti al grande pubblico alcuni dei problemi causati dalla pesca industriale intensiva:
- L’impatto ambientale: la pesca industriale intensiva agisce in diversi modi sugli ecosistemi marini, con conseguenze disastrose per il benessere e gli equilibri dell’oceano. Tra i maggiori danni, spiccano gli impatti distruttivi delle reti da pesca a strascico sui fondali marini, il sovrasfruttamento di molte popolazioni ittiche e le conseguenze, spesso fatali, per le specie animali vittime del bycatch, ovvero catturate accidentalmente dalle reti da pesca. Seaspiracy punta il riflettore su questi tre aspetti e lo fa con immagini d’impatto e che, difficilmente, passano inosservate.
- L’impatto economico: molti governi erogano sussidi economici a sostegno delle multinazionali della pesca, favorendo uno sfruttamento eccessivo degli ecosistemi marini e delle loro risorse. In questo modo, si superano i limiti di sostenibilità e gli interessi dei giganti della pesca predominano su quelli dei piccoli pescatori. Le comunità locali, infatti, vengono private delle risorse ittiche fondamentali per il loro sostentamento e sono impossibilitate ad autodeterminarsi dai grandi mercati internazionali del pesce, rispetto ai quali non possono essere competitive.
- L’impatto sociale: nel mare torbido della pesca industriale, Seaspiracy mette in luce le condizioni di vita inumane in cui gli equipaggi di alcune flotte pescherecce sono costretti a lavorare, in una vera e propria forma di schiavismo moderno. Ambienti lavorativi pericolosi, nessuna sicurezza, salari ben al di sotto della norma (se non assenti) e abusi fisici sono solo alcune delle condizioni a cui questi uomini e donne, una volta imbarcatisi, devono sottostare.
3 NOTE NEGATIVE:
Il documentario mostra dati errati o obsoleti per la maggior parte dei temi trattati e non affronta con la dovuta chiarezza alcuni punti specifici:
- Una distinzione necessaria: nel corso dell’intero documentario si nota un grande assente: la spiegazione della sostanziale differenza tra pesca industriale intensiva e pesca artigianale e tra realtà dove la pesca non è gestita in modo corretto e dove, invece, lo è. Proprio in questi ultimi casi la pesca può diventare sostenibile, rispettando l’ambiente marino e non usurpando le economie locali, ma valorizzandole. Ne sono un esempio alcune attività ittiche sviluppate a livello locale in Alaska, Nuova Scozia, Oklahoma e, nel Mediterraneo, la riserva naturale di Torre Guaceto.
- Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: dopo aver mostrato varie realtà di pesca industriale dannosa, Seaspiracy non compie quel – necessario – passo in più. Ovvero, gli autori non fanno riferimento ad esempi virtuosi a cui aspirare per una convivenza e collaborazione proficua tra pescatori locali e realtà di protezione dell’ambiente marino. Uno su tutti, basti pensare alle Aree Marine Protette (AMP), tratti di mare in cui le attività umane sono limitate e regolamentate, favorendo il mantenimento della produttività degli ecosistemi e salvaguardando i processi ecologici essenziali, per il mare e per noi.
- Numeri alla mano: diversi dati riportati nel documentario non corrispondono alla realtà e alcuni studi a cui si fa riferimento sono superati e, in certi casi, sono stati addirittura smentiti dagli autori stessi. Un esempio è il dato riportato riguardo la percentuale di reti da pesca sul totale delle plastiche presenti in mare: il numero presentato è calcolato prendendo in considerazione solo la plastica galleggiante sulla superficie dell’acqua e che fa parte della grande zuppa di plastica del Pacifico settentrionale (la “Great Garbage Patch”). Questo numero, non solo non rappresenta tutta la plastica presente a livello globale nel mare, ma ignora il fatto che la maggior parte dei materiali plastici presenti in mare si trovi in realtà sui fondali: associare un dato calcolato solo a livello locale ad una stima globale risulta fuorviante.
3 CONSIDERAZIONI DA WORLDRISE:
Worldrise sviluppa progetti di conservazione e valorizzazione dell’ambiente marino, attraverso percorsi incentrati sulla creatività e l’educazione. Tramite la divulgazione, sensibilizziamo il pubblico ad un consumo consapevole e responsabile delle risorse ittiche.
- Valorizzazione del pesce ritrovato: nel corso del tempo, diverse specie ittiche parte della nostra cultura culinaria sono state messe da parte e l’offerta ai consumatori si è concentrata maggiormente su poche specie principali, spesso sovrasfruttate o provenienti da allevamenti intensivi. Scegliere di consumare specie alternative e “ritrovate” a partire dal nostro passato culinario, aiuta a valorizzare il pescato in tutta la sua varietà, promuovendo la redistribuzione e la riduzione della pressione di pesca. Worldrise dà il suo contributo nel raggiungimento di questo obiettivo attraverso il progetto SEAstainable SEAfood Guide.
- Valorizzazione della tradizione locale: tramite la descrizione delle tecniche di pesca utilizzate nel Mediterraneo e distinguendole in base al loro impatto ambientale, promuoviamo un consumo consapevole delle risorse ittiche, capace di valorizzare i prodotti locali che derivano da attività commerciali legate al territorio. Promuoviamo un consumo di pesce che sia in linea con la stagionalità e la disponibilità dell’ambiente marino, a seconda del periodo dell’anno e nel rispetto dei cicli naturali. Worldrise dà il suo contributo nel raggiungimento di questo obiettivo attraverso il progetto SEAstema Liguria, volto a creare un percorso virtuoso che accompagni cittadini, turisti e stakeholders verso un utilizzo sostenibile delle risorse marine liguri, promuovendo una (ri)scoperta del territorio all’insegna del mare e della sostenibilità.
- Valorizzazione della corretta gestione delle risorse naturali: una pesca non intensiva, inserita all’interno di un modello di consumo alternativo a quello intensivo, è una pesca gestita correttamente e che può diventare una risorsa davvero rinnovabile. I prodotti ittici possono essere una fonte di proteine molto più sostenibile degli allevamenti a terra, che hanno un impatto elevato sull’ambiente, e scegliere di non consumare pesce è un privilegio che non tutti hanno: il 10% della popolazione mondiale fonda la sua sussistenza giornaliera sui prodotti ittici. Proteggere le risorse naturali significa gestirle in modo corretto e Worldrise crede nel raggiungimento di questo obiettivo: la campagna 30×30 Italia è un’iniziativa nazionale che contribuisce ad uno sforzo internazionale indirizzato alla protezione, attraverso l’istituzione di Aree Marine Protette (AMP), di almeno il 30% dell’oceano entro il 2030.
Seaspiracy punta il riflettore su importanti hot topics legati alla pesca industriale, che necessitano di essere conosciuti e approfonditi, ma un’informazione corretta è fatta di dati aggiornati e affidabili, in grado di restituire un quadro completo ed equilibrato di una situazione e delle sue dinamiche. Al contrario, una narrazione sensazionalistica che non pone la propria attenzione sulla veridicità e attendibilità delle proprie fonti rischia di alimentare la disinformazione.
Gli impatti determinati dalla pesca industriale intensiva e le relative possibili soluzioni devono essere affrontati tenendo in considerazione il modello di consumo su cui si basano le nostre società, al netto di tutti i suoi risvolti, positivi e negativi. Crediamo che un consumo delle risorse ittiche differenziato, ridotto, senza sprechi e consapevole possa essere anche un consumo sostenibile.