Gli oceani occupano oltre il 70% della superficie del nostro Pianeta e hanno sempre svolto un ruolo fondamentale nella mitigazione del clima, assorbendo gas serra. Quale può essere il loro potenziale ruolo nelle strategie di decarbonizzazione?
Gran parte della CO2 e del calore che l’uomo ha immesso in atmosfera dalla rivoluzione industriale fino ad oggi è stata assorbita dall’oceano, che si comporta come una spugna: grazie alla sua alcalinità e maggior capacità termica, negli ultimi 50 anni il mare ha assorbito il 90% del calore in eccesso prodotto dall’uomo e dalle sue attività e circa il 20-30% delle emissioni di CO2 dagli anni ‘80 ad oggi.

Foto di Giulia Boldrin
Nell’ambito degli accordi di Parigi, l’Unione Europea ha posto come obiettivo la riduzione di emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, per raggiungere la neutralità climatica entro metà secolo. Per arrivare a questo risultato è necessario mantenere l’aumento medio della temperatura globale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Ma non è detto che questo basti a raggiungere la neutralità climatica: sono quindi necessarie una drastica riduzione delle emissioni di gas climalteranti e la rimozione di enormi quantità di CO2 già presente in atmosfera. Anche in un mondo ad emissioni zero, è probabile che la rimozione di CO2 già esistente svolga un ruolo fondamentale nel raggiungere la neutralità climatica ed è necessario rimuovere anidride carbonica in quantità tanto maggiori quanto più lento sarà il taglio delle emissioni.
Per poter limitare l’impatto delle attività antropiche sul clima, oltre all’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, sono necessarie anche nuove tecnologie per la rimozione di CO2 atmosferica, le cosiddette CDR “carbon dioxide removal”.

TECNOLOGIE “CARBON DIOXIDE REMOVAL”
Alcuni esempi di tecnologie CDR possono essere il rimboschimento e la gestione forestale, le pratiche agricole che aumentano il tasso di carbonio nei suoli, la bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio, la cattura di CO2 dall’atmosfera con conseguente stoccaggio e l’alcalinizzazione degli oceani. La maggior parte di queste nuove tecnologie è però ancora in fase di studio, con stime dei costi, del potenziale di mitigazione e dei possibili effetti collaterali.
Una soluzione potrebbe essere la decarbonizzazione tramite gli oceani, che si riferisce a un insieme di tecniche e tecnologie volte a ridurre la quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera, utilizzando gli oceani come serbatoio di carbonio.

dall’atmosfera – immagine tratta dal poster “Marine carbon sinks in decarbonisation pathways” di CDR Mare
Il riscaldamento globale, se unito all’aumento dei livelli di acidità, rappresenta una seria minaccia per gli oceani. Per combattere questo problema ci viene in aiuto una nuova tecnologia, l’“Ocean Alkalinity Enhancement” (alcalinizzazione degli oceani), che può svolgere un ruolo davvero fondamentale nel processo di decarbonizzazione, contrastando anche la tendenza attuale di acidificazione del mare.
ALCALINIZZAZIONE DELL’OCEANO
L’alcalinizzazione si può ottenere catturando l’anidride carbonica già presente in atmosfera e immagazzinandola nel mare sotto forma di bicarbonato di calcio. Un esempio è l’ocean liming: una tecnologia che propone di ridurre l’acidità spargendo composti alcalini, come l’idrossido di calcio, lungo la scia delle navi, in modo che reagiscano con l’acido carbonico, neutralizzandolo e formando bicarbonato. Tuttavia, la fattibilità dell’ocean liming è ancora in fase di studio e discussione, a causa dei possibili effetti collaterali sull’ecosistema marino. Va chiarito che l’ocean liming non può risolvere da solo il problema dell’acidificazione degli oceani e in nessun caso questa o altre tecnologie possono sostituire l’indispensabile e drastica riduzione delle emissioni di gas serra a livello globale.
PROGETTI dedicati alla DECARBONIZZAZIONE
In tutto il mondo si stanno sviluppando progetti che studiano la stabilità chimica e l’impatto che l’aggiunta di alcalinità potrà avere sul biota marino. Questo è essenziale al fine di poter mettere in atto nuove tecnologie, senza però arrecare danno all’ambiente circostante. Per capire il funzionamento di questi sistemi è necessario condurre una serie di esperimenti di complessità e realismo crescenti, partendo dai primi svolti in laboratorio su singole specie, passando per i mesocosmi, che permettono studi alla scala di complessità dell’ecosistema ma all’interno di un ambiente isolato e sotto controllo, per arrivare in futuro a quelli da realizzare in ambiente naturale, solo dopo aver ottimizzato il processo ed escluso tutti i potenziali effetti negativi.

Mesocosmi di Vigo
– Foto di Daniela Maria Basso
Tra i progetti che studiano nuove tecnologie per la decarbonizzazione troviamo Desarc-Maresanus, la cui ricerca è finalizzata allo studio della fattibilità economica e tecnica del processo di ocean liming, che vede coinvolto il Politecnico di Milano per rimuovere CO2 dall’atmosfera e contrastare l’acidificazione dei mari. Il programma Limenet, sta invece mettendo alla prova una tecnologia con un progetto pilota nel Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (CSSN) della Marina Militare Italiana di La Spezia, in collaborazione con il Politecnico di Milano e l’Università di Genova e con il supporto di Hyrogas, con lo scopo di rimuovere 10 kg/h di CO2 in forma di bicarbonati di calcio. Questa tecnologia usa CO2 che verrebbe altrimenti immessa in atmosfera per combattere l’acidificazione degli oceani, andando a risolvere due problemi: l’acidificazione dei mari e il riscaldamento globale.
C’è poi OACIS-OLIGOS, un progetto internazionale dell’Università di Milano-Bicocca, finanziato dalla Prince Albert II of Monaco Foundation, che ha l’obiettivo di comprendere i possibili effetti dell’ocean liming in due ambienti marini opposti dal punto di vista della disponibilità di nutrienti: nelle acque costiere eutrofiche ricche di nutrienti dell’Atlantico nord-orientale e in quelle molto oligotrofiche, quindi povere di nutrienti, del Mediterraneo orientale. OACIS-OLIGOS indaga anche i possibili impatti dell’alcalinizzazione sui produttori primari calcificanti del plankton (coccolitoforidi) e del benthos (alghe rosse calcaree).

Foto di Elias Sch. via Pixabay
Un altro progetto degno di nota è il Carbfix method: Carbfix è un consorzio internazionale di scienziati, ingegneri e dottorandi fondato nel 2007, che ha dimostrato che l’anidride carbonica può essere raccolta dai flussi di gas delle centrali elettriche, disciolta in acqua e iniettata in profondità all’interno di rocce basaltiche dove la CO2 si mineralizza. In questo modo in Islanda trasformano la CO2 in roccia, sottraendola all’atmosfera. Dal 2020 si sta cercando di applicare questo metodo in altre aree del globo.
La decarbonizzazione per mezzo degli oceani è solo una delle possibili strategie per affrontare i problemi del cambiamento climatico. È necessario adottare una serie di misure integrate per ridurre i gas serra e limitarne l’impatto sull’ambiente. La riduzione delle emissioni resta comunque una priorità globale non procrastinabile.
BIBLIOGRAFIA:
- Basso D., Bazzicalupo P. editors (2023) Abstracts del convegno Oceano aMICO2 – Sequestro di CO2 in acque marine: motivazione, opportunità e metodi. Milano, 8-9 maggio 2023.
- Butensch ̈on M., Lovato T., Masina S., Caserini S. and Grosso M. (2021) Alka- linization scenarios in the Mediterranean Sea for efficient removal of atmospheric CO2 and the mitigation of ocean acidification. Frontiers in Climate. 3, 614537.
- Caserini S., Barreto B., Lanfredi C., Cappello G., Ross Morrey D., Grosso M. (2019) Affordable CO2 negative emission through hydrogen from biomass, ocean liming, and CO2 storage. Mitigation and Adaptation Strategies for Global Change. 24(7), 1231-1248.
- Caserini, S., Pagano, D., Campo, F., Abb ́a, A., Serena, D. M., Righi, D., Renforth P., Grosso M. (2021) Potential of maritime transport for ocean liming and atmospheric CO2 removal. Frontiers in Climate. 3:575900.
- Caserini S., Storni N., Grosso M. (2022) The availability of limestone and other raw materials for ocean alkalinity enhancement. Global Biogeochemical Cycles, 36, 5.
- https://www.fpa2.org/en/initiatives/oacis-006
- https://www.aquacosm.eu/news/article/testing-alkalinisation-as-a-potential-mitigation-tool-for-ocean-acidification
- https://www.desarc-maresanus.net/
- https://climate.ec.europa.eu/eu-action/climate-strategies-targets/2050-long-term-strategy_it
- https://unric.org/it/agenda-2030/
- https://www.youtube.com/watch?v=fgBozLCGUHY
- https://limenet.tech/
- https://www.epa.gov/climate-indicators/climate-change-indicators-sea-surface-temperature
- https://marine.copernicus.eu/news/special-report-ocean-and-cryosphere-srocc-information-copernicus-marine-service
- https://www.carbfix.com/
Autrici: Giulia Boldrin e Daniela Maria Basso
Giulia ha 26 anni, è una biologa marina laureata in Marine Sciences con un’enorme passione per i vertebrati e per gli squali in particolare; spera di riuscire a contribuire attivamente alla conservazione marina e alla salvaguardia degli oceani. Se fosse un animale marino sarebbe un delfino, per il suo carattere pacifico e giocherellone, per la sua socievolezza, spensieratezza, fedeltà e amicizia!
Daniela Maria Basso è professore ordinario di Paleontologia e Paleoecologia (GEO-01) presso il Dip. di Scienze dell’Ambiente e della Terra (DISAT) dell’Univ. di Milano-Bicocca, dove si occupa di Geologia marina. Le alghe rosse calcaree e il fenomeno della biocostruzione sono al centro dei suoi interessi sin dal dottorato. Si occupa della sistematica, ecologia e paleoecologia delle alghe calcaree, viventi e fossili, con un approccio prevalentemente morfo-anatomico, recentemente integrato con quello molecolare attraverso reti di collaborazione nazionali e internazionali.