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L’aumento della popolazione umana e i cambiamenti climatici ci impongono di trovare delle soluzioni alimentari etiche e sostenibili in tempi relativamente brevi. In quest’ottica, macroalghe e microalghe potrebbero essere una buona fonte di sostentamento.

Le alghe sono spesso associate a Giappone, Cina e all’Oriente in generale, ma il loro utilizzo è sempre più diffuso in tutto il mondo: l’odierna produzione globale ammonta già a circa 25 milioni di tonnellate annue. Grazie alle loro caratteristiche nutritive e al basso impatto della coltivazione di questo alimento, le alghe potrebbero diventare una delle più importanti soluzioni ecologiche in campo alimentare nel prossimo futuro. In questo articolo cercheremo di capire meglio quali sono le alghe più comuni e come vengono prodotte. 

Saccharina japonica – foto via Canva

LE ALGHE COME ALIMENTO

Le alghe, organismi autotrofi unicellulari o pluricellulari, possono avere varie forme, dimensioni e colori e vivono soprattutto negli ambienti acquatici. Tra le alghe utilizzate a scopo alimentare, le più popolari e consumate in Giappone, una delle nazioni in cui questi organismi sono parte integrante della tradizione culturale e culinaria, sono l’alga Nori, l’alga Kombu e l’alga Wakame

Alga Nori – foto via Canva

Con il nome di alga Nori sono conosciute varie specie del genere Porphyra, alghe rosse della classe delle Bangiophyceae. Per “alga Kombu” si intendono invece principalmente la Saccharina japonica e la Laminaria digitata, alghe brune della classe Feoficee. 

Anche l’alga Wakame appartiene alle alghe brune e il suo nome scientifico è Undaria pinnatifida

COLTIVARE LE ALGHE: UNA TRADIZIONE

Raramente, in alcune aree del mondo, vengono ancora raccolte le alghe spontanee che crescono nell’ambiente naturale, ma con l’aumento della popolazione umana e una richiesta sempre più elevata di questo alimento si è reso necessario ricorrere alla coltivazione di vari generi di alghe. 

In realtà, la coltivazione delle alghe è una pratica antica e oggi è stata ripresa a volte in modo tradizionale, molto più spesso integrandola con tecnologie moderne, ad esempio per aumentare la resa e ottimizzare i passaggi della catena della produzione e commercializzazione del cibo (supply chain). 

Esistono ancora metodi di coltivazione semplici, ad esempio quello applicato per l’alga rossa Eucheuma spinosum a Zanzibar: vengono strappate alcune estremità dalle alghe mature e trapiantate su nuovi spaghi di corda, dopodiché vengono raccolte dopo circa due mesi.

Coltivazione delle alghe a Zanzibar – foot via Il Giornale dei Marinai

Anche l’alga Wakame viene ancora raccolta in alcune zone del Giappone con metodi tradizionali, tipicamente usando lunghi rastrelli, oppure ganci e funi, manovrati da una barca o direttamente dai subacquei. 

A causa del loro particolare ciclo vitale e delle loro necessità ecologiche, fino al 1950 non esistevano esempi di acquacoltura in mare su larga scala delle alghe Kombu e ancora oggi, in alcune zone del mondo, per il loro attecchimento vengono gettati in mare degli esemplari con tutto il rizoide, ossia la parte tramite cui l’alga si àncora al fondale. Le principali difficoltà per una coltivazione economicamente vantaggiosa delle alghe appartenenti a questa specie sono legate alla necessità di far vivere gli esemplari nati dalle spore in acqua a temperature sotto i 10° C e all’utilizzo di fertilizzanti azotati in mare aperto.

SVILUPPI MODERNI NELLA COLTIVAZIONE

Per alcuni generi di questi vegetali sono state sviluppate negli ultimi decenni e continuano ad essere oggetto di studio delle tecniche di coltivazione innovative. Per l’alga Wakame, sin dal 1955 viene effettuata la coltivazione su funi inseminate con sporofilli, ossia foglie specializzate che portano le spore, parte integrante del naturale ciclo vitale delle alghe e di altri vegetali.

Una delle coltivazioni di alghe più ottimizzate è quella dell’alga Nori. In questo caso il processo inizia con la fissazione dei semi sulle reti, alla fine dell’estate. Le reti inseminate vengono tenute in serbatoi a terra, finché le alghe non raggiungono un certo stadio di sviluppo; a quel punto, le reti vengono portate in mare e sospese sulla superficie, così da poter controllare alcuni parametri dell’acqua di mare. Dopo circa due mesi vengono raccolte e i talli, ovvero la parte corrispondente al corpo vegetativo, lavati e poi ridotti in poltiglia, fino a preparare i famosi fogli sottili con cui vengono avvolti ad esempio gli Hosomaki.

Alga Nori – foto via Canva

ALGHE COME “CIBO DEL FUTURO”

Numerose specie di alghe sono molto promettenti di fronte alla sfida di sfamare la crescente popolazione globale. Molte alghe costituiscono una buona fonte di proteine alternative e contengono peptidi potenzialmente benefici, in quanto antiossidanti, antipertensivi o epatoprotettivi. Non dimentichiamo che la maggior parte delle alghe contiene anche molte vitamine, minerali e altre molecole biologiche benefiche per la salute umana. 

Le alghe potrebbero essere un alleato prezioso anche in chiave di sostenibilità ambientale: l’impatto della loro coltivazione e produzione è notevolmente inferiore alla coltivazione di verdure e frutta tradizionali, per non parlare del risparmio in termini di suolo terrestre sfruttato, risorsa sempre più ristretta e contesa.

Alga wakame – foto via Canva

Anche alcune microalghe sono già utilizzate nell’alimentazione e nella cosmesi e potrebbero prendere ancora più piede in futuro: tra le più promettenti ricordiamo i generi Chlorella, Tetraselmis e Nannochloropsis. Tuttavia, vi è ancora molto da fare nel campo della coltivazione delle microalghe, dal miglioramento delle tecnologie per il loro processamento al lavoro di studio di mercato e pubblicitario per renderle un cibo appetibile e disponibile a un’ampia fetta della popolazione.

Chlorella vulgaris al microscopio – foto via Canva

In conclusione, le alghe di ogni genere e dimensione potrebbero costituire davvero delle alleate preziose nelle sfide future, come sfamare la popolazione mondiale, produrre biocarburanti, ridurre le emissioni di CO2, produrre cibo per gli animali da allevamento e altro ancora. Sono necessari, però, una volontà politica di investire in questo senso e un lavoro di divulgazione per rendere più persone possibili consapevoli di queste opportunità.

Bibliografia e approfondimenti: 
Autrice: Giulia Grigoletti

Giulia frequenta la laurea magistrale in Biodiversità ed Evoluzione presso l’Università di Bologna. Da sempre appassionata di animali e piante, cerca di divulgare le bellezze della natura e di sensibilizzare su temi come la sostenibilità ambientale e il rispetto verso tutti gli abitanti del nostro pianeta. Se fosse un animale marino sarebbe una manta gigante, perché è affascinata dalle sue caratteristiche e dalle sue movenze e le trasmette un senso di libertà.

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