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Quando acquistiamo un prodotto sappiamo che esso ha determinato, nella maggior parte dei casi, un impatto sull’ambiente, ma come si sviluppa questo processo nel mondo della moda? Approfondiamo le criticità legate al fenomeno del fast fashion e all’acquisto di capi di abbigliamento tanto economici quanto momentanei.

Negli ultimi anni, nel mondo della moda, sono emersi nuovi metodi di fare business e, così come i trend del momento si evolvono sempre più in fretta, anche i gusti delle persone cambiano velocemente. In un panorama in continuo rinnovamento come quello del fashion, sono sempre di più le imprese capaci di produrre in poco tempo nuove collezioni per adattarsi alle ultime mode, soprattutto sfruttando un sistema di produzione a basso costo. Lo scopo di queste compagnie è quello di fare in modo che il cliente possa acquistare un capo all’ultima moda ma ad un prezzo molto basso e che, quando il trend cambierà, potrà essere facilmente sostituito con qualcosa di più nuovo e al passo con i tempi, creando il bisogno di comprare sempre qualcos’altro. Attraverso sistemi di produzione molto efficienti, le grandi catene di moda low cost riescono a produrre in brevissimo tempo una nuova collezione: dal disegno alla produzione passano circa 2 settimane. Il processo parte da un gruppo di trendsetter, che ricercano le nuove tendenze sul mercato e trasmettono le idee ai designers, i quali disegnano e modellano le nuove collezioni per poi mandarle in produzione. Molti dei brand che seguono questo iter hanno raggiunto una popolarità elevatissima in tutto il mondo, perché permettono a chiunque di vestirsi bene, senza spendere tanto. 

Foto di Sarah Brown via Unsplash

Conseguenze sociali

Il primo problema legato a questo modo di produrre riguarda l’aspetto della sostenibilità sociale. La capacità di offrire abiti a prezzi così bassi si fonda, infatti, sull’utilizzo di manodopera a bassissimo costo, sfruttando i lavoratori e le lavoritrici più svantaggiati di alcune nazioni del mondo, come il Bangladesh, l’India o il Pakistan. Repubblica.it definisce questo fenomeno come “schiavitù moderna”, parlando di 152 milioni di bambini costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno, con salari mensili estremamente bassi. 

In questo modo, nel mondo della moda si forma la contrapposizione tra i brand di slow fashion, che rispettano i propri lavoratori, li pagano adeguatamente e sostengono una moda equa e solidale, e i marchi di fast fashion che, al contrario, non seguono un iter di produzione umanamente sostenibile, riuscendo così ad essere molto più competitivi sul mercato, ma con conseguenze sociali importanti. 

Foto di Rio Lecatompessy via Unsplash

Conseguenze ambientali

Il secondo problema determinato dal fast fashion è legato alla sostenibilità ambientale: lo studio The environmental price of fast fashion” afferma che l’industria del fashion sia responsabile dell’8-10% delle emissioni globali di CO2 (4-5 miliardi di tonnellate annuali), del consumo di circa 1.5 trilioni di litri d’acqua l’anno, di circa il 20% dell’inquinamento delle acque industriali dovuto al trattamento tessile e alle tinture e della produzione di grandi quantità di rifiuti tessili (più di 92 milioni di tonnellate per anno, gran parte delle quali finisce in discarica o viene bruciata, compresi i prodotti invenduti). Il crescente impatto ambientale del settore della moda può essere attribuito al fenomeno del fast fashion, con il quale la produzione tessile è più che triplicata dal 1975.

Produzione annuale di fibre tessili. Fonte: Niinimäki, K., Peters, G., Dahlbo, H. et al. Dal grafico emerge l’incremento nell’utilizzo delle fibre sintetiche (in particolare del poliestere)

Un altro grande impatto ambientale determinato dal mondo della moda è quello sugli oceani: il settore è responsabile di circa il 35% delle microplastiche presenti nell’oceano. I piccoli frammenti di plastica rilasciati ad ogni lavaggio in lavatrice dai capi sintetici (poliestere, acrilico, ecc..), finiscono nelle acque reflue, le quali arrivano nei centri di depurazione: queste fibre, però, sono spesso talmente piccole da non poter essere filtrate e finiscono facilmente nei fiumi e nei mari. Le conseguenze più importanti di questo fenomeno di inquinamento riguardano gli animali marini che, tramite ingestione, possono riportare ostruzioni intestinali, lesioni fisiche, cambiamenti dei livelli di ossigeno nelle cellule del corpo e riduzione dei livelli di energia, con un conseguente forte impatto sulla loro crescita e riproduzione. Naturalmente questi effetti si ripercuotono su tutta la catena alimentare, arrivando fino agli esseri umani: secondo lo studio “No plastic in nature: assessing plastic ingestion from nature to people” condotto da Dalberg Consulting e dall’Università di Newcastle, un essere umano ingerisce circa 5 grammi di plastica a settimana, l’equivalente di una carta di credito.

Foto via greenme.it

Sostenibilità ambientale e sociale 

Sul sito di Inditex, multinazionale spagnola alla quale appartengono marchi famosi come Zara, Bershka, Stradivarius, Pull and Bear ed altri, si può trovare un programma molto dettagliato nel quale vengono elencati gli obiettivi di sostenibilità per i prossimi anni: nel 2023, ad esempio, il gruppo mira ad utilizzare solamente fibre sostenibili e riciclate e a rimuovere completamente la plastica monouso. Si tratta di grandi passi in avanti, se solo si pensa alla problematica delle microplastiche, ma rimane ancora la questione sociale. 

Il termine “sostenibilità”, infatti, non si riferisce solamente all’aspetto ambientale, ma si fonda anche sulle tematiche sociali che, allo stesso modo di quelle ambientali, non dovrebbero essere trascurate.

Alcuni degli obiettivi a lungo termini nel report di sostenibilità di Inditex

Soluzioni sostenibili

Cosa possiamo fare noi? Quanto è importante l’azione del singolo individuo? Ognuno di noi, ogni giorno, sceglie cosa acquistare e come farlo ed è importante sapere che ci sono delle valide alternative al fast fashion. 

Di seguito 3 consigli per ridurre il nostro impatto ambientale, non rinunciando al mondo della moda:

1. Informazione: prima di acquistare un prodotto, cerchiamo di informarci e di approfondire le caratteristiche dell’azienda produttrice. Molte imprese, infatti, in questo periodo stanno pubblicando sui loro siti web il loro impegno per la sostenibilità. Valutando se il marchio in questione utilizza materiali riciclati, energie rinnovabili, se è carbon neutral, dove sono gli stabilimenti di produzione o se aderisce a qualche campagna di sostenibilità o beneficienza è possibile compiere scelte più attente e sostenibili.

2. Circular economy: il processo di produzione ad oggi più utilizzato è quello di “linear economy”, nel quale si parte dalla risorsa vergine, si genera il capo, lo si vende e, dopo l’utilizzo, esso diventa uno scarto. La circular economy, al contrario, parte dagli scarti per generare qualcosa di nuovo, riuscendo a riutilizzare i materiali. In quest’ottica, scegliamo capi che provengono da materiali riciclati per ridurre lo spreco.

infografica di abenergie

3. Slow fashion: questo è probabilmente il punto più importante, il consumo responsabile. Gli studi confermano che utilizziamo i capi di abbigliamento che acquistiamo per periodi sempre più brevi, comprando sempre di più e sempre più spesso. Acquistare in modo responsabile non vuol dire smettere di comprare abiti, ma significa cercare di acquistare in modo informato e, soprattutto, solo quando è necessario, evitando di comprare cose che sappiamo che indosseremo poche volte, perché magari sono solamente il risultato di una moda passeggera. Inoltre, sono tante le cose che possiamo fare con gli abiti che non utilizziamo più: è possibile riutilizzare i capi che non indossiamo per altri scopi, dando loro nuova vita, oppure rivenderli (sono numerosissime le piattaforme online e offline per la rivendita dei capi di seconda mano: Remira Market è un mercatino della seconda mano che si tiene a Milano e invita a guardare con occhi nuovi le cose per dare loro una seconda vita, promuovendo la moda Vintage e l’Usato come parte di un guardaroba sostenibile e anticonvenzionale) o donarli per il riciclo, come per esempio è possibile fare a Roma usufruendo dei cassonetti gialli, che raccolgono tutti gli abiti destinati a processi di riciclo e recupero, come la formazione di nuovi filati. 

Il nostro futuro e quello del Pianeta passa anche dalle nostre scelte individuali e non dipende solo dalle aziende: come consumatori e clienti, quando ci troviamo davanti alle diverse opzioni di acquisto, possiamo scegliere la sostenibilità.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Autore: Matteo De Cesaris

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