Sono coloratissimi e affascinano tutti, pur rimanendo quasi immobili e in silenzio. Si tratta dei coralli che, oltre a dare vita ad uno degli ecosistemi più ammirati del Pianeta, rappresentano un archivio di informazioni sul clima del passato.
Le barriere coralline, riserva di biodiversità e servizi ecosistemici
Le barriere coralline coprono meno dello 0,1% dei fondali marini, eppure rappresentano uno degli ecosistemi più affascinanti e importanti del nostro Pianeta. Per più di 4000 specie di pesci, 840 specie di coralli e 1 milioni di altri animali marini, infatti, la barriera corallina è casa, costituendo una riserva di biodiversità ineguagliabile, tanto da essere chiamata “la foresta pluviale dei mari”.
Questi ecosistemi offrono molteplici benefici all’umanità, gli inestimabili servizi ecosistemici: da quelli produttivi, che forniscono cibo ed elementi utili alla medicina, a quelli protettivi da eventi climatici estremi e tempeste, fino ai servizi ecosistemici ricreativi. Questi ultimi non sono che i benefici, anche economici, che la società ricava dal turismo legato a questi luoghi. Si stima che circa 275 milioni di persone vivano nei pressi delle barriere coralline e che oltre 100 paesi giovino del loro valore ricreativo, basti pensare che sono circa 350 milioni le persone che ogni anno viaggiano per vedere le meraviglie degli ecosistemi corallini.

Foto di Francesco Ungaro via Pexels
Il corallo, elemento base della barriera corallina
Per le spettacolari barriere coralline bisogna ringraziare dei piccoli animali, i polipi del corallo, che danno vita all’elemento base del reef, il carbonato di calcio, che costituisce lo scheletro calcareo che protegge e sostiene i coralli. Gli scheletri poi si uniscono e stratificano tra loro formando le barriere.
I coralli si distinguono tra hard e soft: i primi conferiscono la struttura alla barriera corallina, caratterizzati da uno scheletro solido di carbonato di calcio e dalla dipendenza dalle alghe zooxanthellae che vivono al loro interno. Tra corallo e alga, infatti, si instaura una relazione simbiotica, in cui il corallo fornisce riparo, nutrimento e anidride carbonica utile per il processo di fotosintesi all’alga che, a sua volta, garantisce nutrimento e ossigeno al suo protettore, conferendogli anche il caratteristico colore sgargiante. I “soft corals” sono invece quelli privi di uno scheletro solido, come le gorgonie, che vivono anch’esse in colonie. Oltre ai coralli, anche alghe, spugne, sedimenti e molluschi popolano e strutturano la barriera corallina.

Scogliera corallina – Lorenzo Ravelli ©
Gli scheletri dei coralli: importanti archivi di informazioni sul clima
Oltre ad essere il tassello elementare di uno dei più importanti ecosistemi al mondo, il corallo è anche un prezioso archivio di informazioni climatiche. Come dai tronchi degli alberi e dagli strati dei ghiacciai è possibile studiare il clima del passato, anche attraverso gli scheletri dei coralli si può scoprire qual è stata la temperatura degli oceani e approfondire come funziona l’interazione tra atmosfera e oceano.
Il fossile del corallo, infatti, è caratterizzato da una serie di bande, simili alla struttura del tronco dell’albero definito dagli anelli. Il corallo cresce per aggregazione dei cristalli di aragonite, calcio e carbonato presenti nel mare e, osservando lo spessore dello strato si possono dedurre informazioni sulle condizioni generali dell’oceano in un dato momento oppure, con analisi più approfondite, si può svelare qual era la temperatura o il livello di nutrienti nel mare quando lo scheletro si è formato.

Esplorare le acque del passato studiando gli scheletri dei coralli
Gli scheletri dei coralli non sono tutti uguali. Da quelli delle barriere coralline tropicali si può scoprire com’è cambiato il livello del mare, la temperatura superficiale e quali eventi estremi sono accaduti, mentre da quelli delle acque fredde si può arrivare ad apprendere quali cambiamenti sono avvenuti nell’oceano profondo.
L’acqua contiene anche sostanze come lo stronzio (Sr), il magnesio (Mg) e il Bario (BA), che si incorporano nei cristalli di aragonite, ed è proprio dalla presenza e proporzione di questi microelementi che possono essere studiate e capite le condizioni del mare in passato. A differenza di altri sedimenti marini, una volta formatosi, lo scheletro dei coralli non cambia più e può mantenersi per centinaia di anni, conservando e mantenendo in salvo le informazioni climatiche.
Dagli scheletri dei coralli si può capire anche come sono cambiate le correnti oceaniche. Ciò è possibile analizzando il contenuto dell’isotopo del carbonio 14, naturalmente presente nello scheletro del corallo, che si dissolve nelle acque dell’oceano in cui il corallo era al tempo immerso. La quantità di carbonio 14, che si trova successivamente nella banda dello scheletro, riflette l’andamento della corrente profonda oceanica: gli strati con alte quantità di carbonio 14 indicano che le acque atlantiche scorrevano verso sud, mentre quelle con basse quantità indicano che il corallo era immerso in acque che scorrevano verso l’Oceano Australe.

foto via Canva
Cosa minaccia i coralli
Se da un lato le barriere coralline sono tra gli habitat più ricchi e affascinanti del Pianeta, sono anche gli ecosistemi più minacciati dai cambiamenti climatici: attualmente ne è a rischio il 75%, ma si stima che si arriverà al 90% entro il 2030.
Uno dei fenomeni di cui sempre più spesso sono protagonisti i coralli è lo sbiancamento, causato da una rottura della relazione simbiotica con l’alga zooxanthellae. Infatti, l’aumento della temperatura delle acque determina un allontanamento dell’alga dai tessuti del corallo, causando così la perdita sia del nutrimento sia del colore. Lo sbiancamento non è irreversibile, se non si protrae a lungo, ma è necessario che la temperatura dell’acqua si raffreddi perché il corallo torni in salute. Si stima che entro il 2055 il 90% delle barriere coralline sarà colpita annualmente da fenomeni di sbiancamento. Un’ulteriore conseguenza delle temperature più calde delle acque, insieme all’alta concentrazione di CO2 in atmosfera, è l’acidificazione degli oceani, che rende difficile la costruzione dello scheletro corallino. Si stima che nella Grande Barriera Australiana dal 1990 ad oggi la calcificazione dei coralli sia diminuita del 14%.

Colonia affetta da sbiancamento – “Coral bleaching” by PacificKlaus is licenced under CC BY-NC 2.0 ©
Perdere i coralli significa danneggiare l’ecosistema marino, con effetti a catena su moltissimi settori, e perdere un archivio di informazioni importantissimo sul clima del passato. Se si vuole evitare che il 100% delle barriere coralline sia minacciato entro il 2050, è necessario aiutarle ad adattarsi ai cambiamenti climatici, riducendo le minacce locali e le emissioni di CO2 globali.
Bibliografia:
- https://www.whoi.edu/
- https://www.whoi.edu/know-your-ocean/ocean-topics/ocean-life/coral/dating-corals-knowing-the-ocean/
- https://www-standby.whoi.edu/oceanus/feature/the-coral-climate-connection/
- whoi.edu/oceanus/feature/what-other-tales-can-coral-skeletons-tell/
- https://www.wwf.it/specie-e-habitat/habitat/barriere-coralline/
- https://coral.org/en/