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L’inquinamento da microplastiche sta rapidamente cambiando il mondo, ma quali sono le implicazioni per l’ambiente marino? Scopriamole insieme!

Cosa sono le microplastiche?

Nell’ecosistema marino, complice una sempre crescente pressione determinata dalle attività umane, sono spesso presenti contaminanti come metalli pesanti, inquinanti organici persistenti (POP), pesticidi e detriti di plastica. Questi ultimi sono particolarmente persistenti nell’ambiente marino e sono classificati in 3 classi: macrodetriti (> 25 mm), mesodetriti (5-25 mm) e microdetriti (<5 mm), tra i quali rientrano le piccole particelle di plastica comunemente denominate “microplastiche“, come definito dall’agenzia americana National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), anche se un intervallo di dimensioni standardizzato deve ancora essere ufficializzato. 

Le microplastiche presenti nell’ambiente marino provengono da numerose fonti e settori economici e hanno impatti ambientali diffusi, comprese le implicazioni climatiche: scopriamo di più su questo fenomeno di inquinamento e sulle sue possibili soluzioni.

Foto via Canva

Fonti di microplastiche nell’ambiente marino

Le microplastiche possono trasferirsi da un ambiente all’altro e la loro presenza è stata segnalata sia negli ecosistemi marini, come sedimenti e acque aperte, sia all’interno degli organismi che abitano il mare, entrando a far parte della catena alimentare.

Un classico esempio tra le fonti più insidiose di microplastiche è rappresentato da alcuni prodotti per la cura della persona, come scrub, dentifrici o cosmetici, che contengono al proprio interno glitter o microsfere, che rappresentano il 2% della microplastica totale rilasciata nell’ambiente marino. Dal 1°gennaio 2020, però, in Italia è entrata in vigore la legge di Bilancio 2018, che ha ufficialmente posto il divieto di utilizzare microplastiche nei cosmetici da risciacquo: un piccolo passo nella giusta direzione per limitare questo tipo di inquinamento.

Un’altra fonte di microplastiche in ambiente marino, però, è rappresentata dal degrado degli articoli in plastica di dimensioni maggiori, che arrivano in mare a partire dalla maggior parte dei settori economici, tra cui agricoltura, edilizia, turismo, acquacoltura, pesca e navigazione. Di tutta la plastica che entra nell’oceano, ovvero circa 8 milioni di tonnellate ogni anno, il 94% finisce sul fondo del mare, rilasciando sostanze chimiche, microplastiche e nanoplastiche (di dimensioni comprese tra 0,1 e 5.000 µm), dannose sia per la vita marina che per l’equilibrio dell’ecosistema.

No Plastic More Fun Worldrise

Foto di Federico Girotto per Worldrise

Impatti delle microplastiche sul clima

Le microplastiche hanno anche implicazioni per il clima, contribuendo all’emissione di gas a effetto serra e riducendo la capacità dell’oceano di mitigare il cambiamento climatico:

  1. Emissione di gas serra: una volta esposti alla radiazione solare, alcuni tipi di plastica (principalmente plastica monouso e imballaggi) subiscono un graduale processo di degradazione e frammentazione, che rilascia gas serra come metano ed etilene. Il metano contribuisce agli effetti dei gas serra 34 volte di più del biossido di carbonio, diventando un vero e proprio motore per il cambiamento climatico. Con un aumento previsto del 33-36% nella produzione di plastica entro il 2025, si stima che le emissioni di metano saliranno a 101-103 milioni di tonnellate se non verranno attuati sforzi di mitigazione.
  2. Ridotto sequestro del carbonio: quando il plancton, elemento fondamentale per il buon funzionamento degli ecosistemi marini, è contaminato dalle microplastiche, risulta meno efficace nel “fissare” il carbonio e nel trasferirlo nelle profondità oceaniche. Di conseguenza, il potere di sequestro del carbonio dell’oceano si riduce, diminuendo la sua capacità di mitigare il cambiamento climatico. I dati mostrano che il 100% del plancton negli estuari dell’UE è contaminato da microplastiche (Rodrigues et al., 2018).

Foto via Canva

Impatti delle microplastiche sull’ambiente marino

Gli impatti ambientali più preoccupanti determinati dalle microplastiche contribuiscono alla perdita di biodiversità, hanno implicazioni sulle reti alimentari marine e minacciano l’equilibrio dell’ecosistema. Tra questi, sono stati identificati:

  1. Ingestione di microplastiche da parte di organismi marini: quando le microplastiche vengono ingerite da pesci e altri organismi marini possono verificarsi esaurimento energetico, infertilità, problemi comportamentali, danni o, in casi estremi, la morte degli organismi affetti da questo tipo di inquinamento. È stato stimato che circa il 50% dei pesci nel Mar Mediterraneo e l’80% delle larve di pesce negli estuari dell’UE hanno ingerito microplastiche (Pennino et al., 2020; Rodrigues et al., 2019).
  2. Bioaccumulo di sostanze pericolose da parte della fauna e della flora marina: le sostanze pericolose presenti o assorbite dalle microplastiche, come gli additivi o gli inquinanti organici persistenti (POP), possono determinare gravi conseguenze per la flora e la fauna marina. Ad esempio, negli Stati Uniti, i deflussi della polvere stradale, inclusa l’usura degli pneumatici, hanno causato la mortalità di massa dei pesci nei fiumi vicini.
  3. Diffusione di specie invasive e patogeni: le microplastiche possono fungere da vettore per specie invasive, batteri e virus, consentendo loro di essere trasportati per lunghe distanze, arrivando a colonizzare aree al di fuori della loro naturale distribuzione ed entrando in competizione con le specie locali.

Foto di Naja Bertolt Jensen via Unsplash

Possibili soluzioni

A seconda delle loro caratteristiche, alcuni tipi di plastica rilasciano una quantità molto maggiore di microplastiche, sostanze chimiche tossiche o emissioni di gas serra rispetto ad altri. Pertanto, le soluzioni proposte nello studio Microplastics in the marine environment: Sources, Impacts & Recommendations, commissionato al Galway Mayo Institute of Technology dall’associazione di organizzazioni ambientaliste europee Seas At Risk , mirano a prevenire il rilascio di microplastiche alla fonte:

1) Vietare determinati tipi di plastica che hanno dimostrato di rilasciare un numero elevato di microplastiche, come i polimeri espansi sintetici (ad es. imballaggi e scatole di polistirene) e il pacciame plastico artificiale in agricoltura e orticoltura;

2) Stabilire requisiti obbligatori di progettazione ecocompatibile per i tessuti in fase di progettazione, in modo da eliminare gradualmente i tessuti e gli additivi più problematici;

3) Stabilire una soglia massima per il rilascio nell’ambiente di microplastiche da parte degli pneumatici;

4) Eliminare gradualmente gli additivi potenzialmente tossici e creare un database ad accesso aperto di additivi per plastica, in modo da fornire informazioni accessibili a tutti sulla presenza di sostanze chimiche nei prodotti;

5) Vietare tutti i prodotti di plastica monouso non essenziali, in modo da ridurre l’inquinamento da microplastica a lungo termine e, in quanto consumatori, cercare di scegliere sempre l’alternativa più sostenibile;

6) Attuare schemi di responsabilità, per incentivare i produttori a sviluppare prodotti e processi di produzione più sostenibili e rendere i consumatori sempre più consapevoli dell’impatto di ciò che stanno acquistando.

Contesto politico e fasi successive

Nel 2018 la Commissione Europea ha lanciato la “Plastic Strategy”, rendendo nota la sua intenzione di affrontare il problema dell’inquinamento da plastica e proponendosi di trasformare il modo in cui i prodotti in plastica sono progettati, prodotti, utilizzati e riciclati nell’UE

Quest’anno, dopo l’entrata in vigore della Direttiva europea SUP (Single Use Plastic), dedicata all’eliminazione dal mercato della plastica monouso, la Commissione Europea ha iniziato ad approfondire il problema degli inquinanti microplastici, anche all’interno dell‘obiettivo “inquinamento zero” per il 2050, che consiste nel ridurre l’inquinamento di aria, acqua e suolo a livelli che non siano più considerati dannosi per la salute e gli ecosistemi naturali, nel rispetto dei limiti che il nostro pianeta può sopportare. 

La Commissione Europea, inoltre, sta analizzando il rilascio involontario di pellet, microfibre e usura degli pneumatici nell’ambiente, con l’obiettivo di valutare la possibile adozione di misure comunitarie per ridurre l’entità del problema.

Foto via Canva

Bibliografia e Sitografia:
  • Arthur, C., Baker, J., Bamford, H., (2009). Proceedings of the International Research Workshop on the occurrence, effects, and fate of microplastic marine debris. NOAA Technical Memorandum NOS-OR&R-30. 
  • Boucher et Friot 2017, Boucher, J. and Friot D. (2017). Primary Microplastics in the Oceans: A Global Evaluation of Sources. Gland, Switzerland: IUCN. 43pp.https://www.iucn.org/content/primary-microplastics-oceans
  • GESAMP, (2019). Guidelines for the monitoring and assessment of plastic litter in the ocean by Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection. Gesamp. https://doi.org/ISSN: 1020-4873 
  • Microplastics in the marine environment: Sources, Impacts and Recommendations. Galway-Mayo Institute of Technology (GMIT) https://seas-at-risk.org/publications/microplastics-in-the-marine-environment-sources-impacts-recommendations/
  • Pennino, M. G., Bachiller, E., Lloret-Lloret, E., et al., (2020). ‘Ingestion of microplastics and occurrence of parasite association in Mediterranean anchovy and sardine’. Marine Pollution Bulletin, 158, 111399. Available at: https://doi.org/10.1016/j.marpolbul.2020.111399
  • Rodrigues, S., Almeida, C., Silva, D., Cunha, J., Antunes, C., Freitas, V., Ramos S., (2018). ‘Microplastic contamination in an urban estuary: Abundance and distribution of microplastics and fish larvae in the Douro Estuary’. Science of the Total Environment, 659, 1071-1081. Available at: https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2018.12.273
  • Thompson, R.C., Moore, C.J., vom Saal, F.S., Swan, S.H., 2009. Plastics, the environment and human health: current consensus and future trends. Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences 364, 2153–2166. 
  • Thompson, R.C., Olsen, Y., Mitchell, R.P., Davis, a, Rowland, S.J., John, a W.G., McGonigle, D., Russell, a E., (2004). Lost at Sea: Where Is All\rthe Plastic? Science (80- . ). 304, 838. https://doi.org/10.1126/science.1094559 
Autore: Manuel Perin

Manuel è laureato in Global Change Ecology and Sustainable Development Goals. Attualmente frequenta il Master in Sustainability and Energy Management presso l’Università Bocconi. Se fosse un animale marino sarebbe una tartaruga marina, goffa nella terraferma ma abile nuotatrice.

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