Worldrise vi fa immergere alla scoperta della semplice ma essenziale interazione tra coralli e zooxantelle, mettendo in luce le minacce e le soluzioni a nostra disposizione per salvaguardare un ecosistema così importante.
Estremamente importanti dal punto di vista ecologico, le vivaci barriere coralline sono il risultato di una delicatissima simbiosi tra polipi e zooxantelle.
Worldrise vi fa immergere alla scoperta di questa semplice ma essenziale interazione, mettendo in luce le minacce e le soluzioni a nostra disposizione per salvaguardare un ecosistema così importante.

foto via Unsplash
Cosa sono i coralli?
Nonostante possa essere facile visualizzare nella propria mente l’immagine di un corallo, potrebbe essere più complicato darne la definizione corretta.
Spesso scambiati per rocce o piante marine, a causa del loro scheletro duro e del comportamento sessile che li àncora al substrato, i coralli sono invece animali, invertebrati marini, appartenenti al phylum degli Cnidari e, in particolar modo, alla classe degli Antozoi. Dal greco άνθος (ánthos; “fiore”) e ζώα (zóa; “animali”), Antozoi significa letteralmente “animali fiori”, un nome dovuto al tipico aspetto floreale che assumono i polipi dei coralli quando esposti all’ambiente acquoso.
Sebbene vengano comunemente percepiti come singoli organismi, i coralli sono in realtà il risultato dell’unione di migliaia di piccoli individui geneticamente identici, detti polipi, ognuno grande solo pochi millimetri, radunati tipicamente in colonie. Si tratta di organismi estremamente importanti da un punto di vista ecologico, poiché alcuni di essi, i cosiddetti coralli ermatipici (caratterizzati da uno scheletro carbonatico), sono i principali costruttori delle barriere coralline: veri e propri ecosistemi in grado di supportare almeno il 25% di tutte le specie marine del nostro pianeta.
I coralli ermatipici e la simbiosi con le zooxantelle:
Le barriere coralline si sviluppano in genere in acque limpide, calde e poco profonde, fino a poche decine di metri. Questo comportamento è imposto dalla presenza di piccole zooxantelle, specifiche alghe unicellulari che vivono in stretta simbiosi con i coralli e che, essendo organismi fotosintetici, necessitano di vivere vicino alla luce per sopravvivere.
La convivenza simbiotica tra coralli e zooxantelle è di tipo mutualistico: si tratta di un rapporto in cui ogni organismo coinvolto partecipa attivamente e positivamente alla sopravvivenza reciproca, creando una situazione vantaggiosa per tutti (qui vi avevamo raccontato alcuni tipi si simbiosi nel mondo marino).
Nelle ore di luce, grazie alla fotosintesi, le zooxantelle producono ossigeno e sostanze nutritive per i polipi dei coralli, che rimangono ritratti all’interno dello scheletro calcareo, sfruttando l’associazione con le alghe. Durante le ore notturne, invece, i coralli estendono nell’ambiente circostante i numerosi polipi che abitano la colonia e che, essendo organismi “sospensivori”, si nutrono catturando le particelle organiche presenti nell’acqua circostante.
In cambio, le zooxantelle ricevono riparo, nutrienti (per lo più materiale di scarto prodotto dai coralli) e anidride carbonica utile per la fotosintesi. Inoltre, l’elevata concentrazione di pigmenti di clorofilla, carotenoidi e xantofille all’interno delle alghe unicellulari conferisce ai coralli i loro caratteristici colori sgargianti.
Una situazione delicata:
Anche se la stretta simbiosi tra polipi e zooxantelle è indubbiamente un piacere per gli occhi, essa è ben più importante a livello metabolico, fintanto che permette ad entrambi gli ospiti di mantenere un buono stato di salute.
Ampiamente diffusa, questa specifica interazione è tra le più delicate del mondo subacqueo: essa richiede infatti specifiche temperature, normalmente tra i 25°C ed i 29°C, e qualsiasi sbalzo climatico al di fuori di questo range può essere la causa principale della rottura della simbiosi.
Negli ultimi decenni, il cambiamento climatico ha causato l’aumento della temperatura dell’acqua di 1°C-2°C rispetto alla media, portando ad uno dei fenomeni più gravi per i coralli: lo sbiancamento dei coralli o “coral bleaching”. Esso è descritto come una sorta di “febbre” che porta la simbiosi al termine: le zooxantelle, non essendo più in grado di produrre nutrimento a causa dell’aumento della temperature dell’acqua, vengono espulse dalla struttura calcarea del corallo, la quale perde il suo colore, restando totalmente bianca.
Inoltre, senza più un sufficiente apporto di nutrimento, il corallo rimane in uno stato di sofferenza, che lo porta ad essere più vulnerabile a possibili predatori e patogeni. Tuttavia, il ritorno alla condizione simbiotica con le alghe fotosintetiche è possibile: un raffreddamento graduale delle acque marine, fino a tornare alla condizione termica iniziale, porterebbe a ristabilire l’interazione.

Colonia affetta da Bleaching – “Coral bleaching” by PacificKlaus is licenced under CC BY-NC 2.0 ©
Altrimenti?
Nella peggiore delle ipotesi, quando la temperatura resta troppo alta per la “guarigione”, lo scheletro calcareo bianco e vuoto dei coralli diviene oggetto dell’azione distruttiva di alcuni organismi, come i pesci pappagallo, rimanendo infine ricoperto da alghe verdi che lo “soffocano”, portandolo alla morte.
Questo è ovviamente il più negativo degli scenari, che può essere arginato non solo diminuendo drasticamente le quantità di inquinanti emessi in atmosfera, i quali rappresentano la principale causa del cambiamento climatico, ma anche intervenendo direttamente sulla tutela e sul recupero delle barriere coralline.
Ecco perché uno dei progetti più innovativi e promettenti in campo scientifico sembra essere quello della cosiddetta “Coral Restoration”, la quale prevede la costruzione di “nursery” per la crescita di coralli, concettualmente non troppo diverse dalle tipiche nursery dei bambini.
Nonostante ci siano diversi tipi di nursery, questo progetto ha una base comune: vengono prelevati dall’ambiente marino coralli di specie diverse, i quali vengono poi frammentati in pezzi più piccoli. A seconda della posizione della nursery, in laboratorio o “in situ”, poi, i polipi di questi coralli vengono alloggiati in diverse vasche o su supporti (a rete o ad albero) dove iniziano a moltiplicarsi, aumentando le dimensioni del corallo. Infine, gli individui ottenuti sono “trapiantati” nella barriera corallina, in modo da ripopolare l’ambiente danneggiato.
Per quanto promettente, il progetto di “Coral Restoration” non esclude la necessità di cambiare il nostro modo di vivere per garantire la salvaguardia del Pianeta, ma certo ci regala un quadro di speranza per il bene dei nostri mari.
E, proprio come il nome suggerisce, perché non cominciamo col restaurare proprio noi stessi?
Bibliografia
- Baker, A. C. (2011). Zooxanthellae. Encyclopedia of Earth Sciences Series, Part 2, 1189-1192.
- Hoegh-Guldberg Ove (1999). Climate change, coral bleaching and the future of the world’s coral reefs. Marine and Freshwater Research 50, 839-866.
- Muller-Parker G., D’Elia C.F. and Cook C.B. (2015). Interactions Between Corals and Their Symbiotic Algae. Springer, Dordrecht.
- National Oceanic and Atmospheric Administration. www.NOAA.gov. “Restoring coral reef”
- Nicolini Filippo (2020). “Sbiancamento dei coralli: cause e conseguenze”. Biopills Pagnotta Alessandro (2017). “Cos’è lo sbiancamento o bleaching della barriera corallina?”. Coral’s Garden
Autore: Camilla Rinaldi
Nonostante Camilla sia nata e cresciuta tra le montagne della Valtellina, la sua forte passione per il mare l’ha portata a diventare Biologa Marina, specializzata in coralli.
Convinta che la sua passione vada condivisa con più persone possibili, ha deciso di intraprendere la strada della divulgazione scientifica per far conoscere la bellezza del nostro Pianeta. Se fosse un animale marino, Camilla sarebbe una manta, per l’eleganza e la maestosità con cui danza in acqua.