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Cosmetici fondamentali per proteggere la nostra pelle d’estate, a volte possono causare anche seri danni agli abitanti dell’oceano. Vediamo insieme come scegliere una crema solare amica del nostro mare!

È arrivata l’estate, la stagione delle vacanze al mare e del relax in spiaggia: in queste settimane, per difendere la nostra pelle dalle radiazioni UV, è indispensabile far uso di creme solari per schermare i raggi del Sole. La loro composizione chimica, però, non è sempre eco-friendly: scopriamo insieme quali effetti possono indurre sugli organismi marini e come scegliere il prodotto migliore per noi, ma anche per l’oceano! 

Foto via Unsplash

Filtri fisici e filtri chimici

In commercio esistono numerosi prodotti per proteggerci dai raggi del sole, differenti per texture, solidità e soprattutto per meccanismo di azione: i solari, infatti, possono schermare i raggi UV sia tramite assorbimento e successiva dispersione di calore, sia per rifrazione. Nel primo caso il filtro si definisce chimico, nel secondo caso fisico.

I filtri fisici, grazie alla loro opacità, formano un vero e proprio schermo contro gli ultravioletti: le piccole particelle minerali che li compongono, infatti, impediscono l’arrivo dei raggi alla cute. A differenza dei filtri solari chimici, non trattengono il calore né penetrano nella pelle; inoltre non vengono scomposti, non interagiscono e non vengono alterati né danneggiati dalle radiazioni solari. Tra i più comuni vi sono l’ossido di zinco e il biossido di titanio.

I filtri chimici, al contrario, assorbono in modo selettivo le radiazioni UVA e UVB, agendo su lunghezze d’onda diverse. Successivamente, queste molecole rilasciano l’energia sotto forma di calore e/o fluorescenza. In molteplici studi questi filtri sono risultati essere pesantemente inquinanti per pesci, molluschi, alghe e coralli poiché possono generare delle modificazioni genetiche, alterando comportamenti neurologici e riproduttivi di diverse specie.

Infografica via primobio.it

Bioaccumulo nei tessuti e biomagnificazione

I filtri chimici sono composti idrofobici e possono accumularsi nelle membrane cellulari e nel tessuto adiposo degli organismi marini. Analisi dei tessuti hanno rilevato consistenti concentrazioni di filtri chimici in mitili, granchi, calamari, cormorani e delfini in diverse parti del mondo.

Con il termine “biomagnificazione” si indica il processo per cui l’accumulo di sostanze tossiche negli esseri viventi aumenta di concentrazione man mano che si sale al livello trofico successivo: i risultati degli studi suggeriscono la possibilità che tali composti raggiungano anche gli esseri umani attraverso il pescato.

L’ossibenzone: da evitare assolutamente!

Una tra le sostanze più pericolose per l’ambiente è l’ossibenzone (Oxybenzone-benzophenone-3 o BP-3), un composto di natura organica utilizzato in tantissime creme solari per garantirne la fotostabilità, ovvero per evitare che si degradino se esposte alla luce.

La sostanza in questione è stata oggetto di numerosi studi, che hanno evidenziato come un’esposizione al BP-3 causi il bleaching dei coralli biocostruttori dei reef, che espellono la loro alga zooxantella simbionte per lo stress da contaminante. Inoltre, le acque inquinate da BP-3 contengono una quantità di virus 15 volte superiore rispetto alla media: poiché molti virus marini sono fagi (ovvero infettano batteri), gli scienziati ritengono che l’ossibenzone causi la lisi delle cellule batteriche e immetta nella colonna d’acqua le particelle virali contenute in precedenza all’interno del batterio stesso. Ciò si ripercuote su tutta la rete trofica, alterando i già fragili equilibri degli ecosistemi. Inoltre, il ciclo litico virale viene scatenato anche nelle stesse zooxantelle, che quindi vengono espulse dal polipo, l’organismo vero e proprio che costituisce il corallo.

Coralli affetti da sbiancamento – foto di HANDOUT/Reuters via The Guardian

Un altro studio della University of Hawaii di Honolulu ha messo in luce che l’esposizione di alcuni pesci marini, quali la trota arcobaleno e il medaka giapponese, all’ossibenzone porta ad una riduzione del numero di uova e alla femminilizzazione dei maschi.

Effetti dei filtri organici sugli stadi larvali

I risultati di uno studio comparativo effettuato sul riccio di mare Paracentrotus lividus hanno mostrato la tossicità dei filtri organici sulle larve: l’esposizione a metilbenzilidene canfora (4-MBC), BP-4 e  ottinoxato ha indotto malformazioni o ritardo nello sviluppo degli organismi. Nello specifico, dopo soli 20 minuti dalla fecondazione, gli scienziati hanno potuto notare la formazione di vescicole sulla membrana cellulare, mentre, a distanza di tre ore dalla fecondazione, i blastomeri, ovvero ciascuna delle cellule che risultano dalla segmentazione dell’uovo fecondato, presentavano una divisione asimmetrica o mancanza di membrana. A 48 ore dalla fecondazione, le larve erano caratterizzate da una struttura esoscheletrica alterata, con forme irregolari e braccia mancanti o unite.

L’esperimento è stato ripetuto anche con il biossido di titanio, un filtro fisico: quest’ultimo, a concentrazioni presenti in prossimità delle coste durante il periodo estivo, non mostra impatti dannosi verso lo sviluppo del riccio.

via Pixabay

Riccio di mare – foto via Pixabay

Uno studio analogo condotto su embrioni di pesce zebra ha mostrato che in questi organismi il 4-MBC produce edema pericardico e un assorbimento ritardato del sacco vitellino, oltre a diminuzione della frequenza cardiaca e alterazioni della neurotrasmissione.

Come possiamo fare la differenza?

Come consumatori scegliamo sempre di acquistare creme solari rispettose del mare: leggiamo bene l’etichetta, evitando filtri benzoderivati, octocrylene ed ecamsule. Meglio una crema più densa che uno spray: durante l’applicazione, infatti, una parte del prodotto viene dispersa nell’ambiente. Inoltre diamo la preferenza a  prodotti con packaging riciclato o plastic-free! Restano comunque valide le consuete raccomandazioni: evitiamo di prendere il sole nelle ore più calde e applichiamo il solare circa 20 minuti prima dell’esposizione.

Foto Di Kindel Media via Pexels

A livello nazionale, già diversi Stati nel mondo hanno iniziato a muoversi per fare la differenza: Palau, le Hawaii, le Isole Vergini americane e le isole caraibiche olandesi di Bonaire e Aruba hanno vietato da due anni l’uso di creme solari contenenti filtri chimici dannosi per l’ecosistema marino.

Secondo il Palau Island Times, ora «a Palau sono consentiti solo filtri solari reef-safe»: uno studio del 2019 aveva stimato che ogni giorno, da tre a cinque litri di crema solare finivano nell’oceano nei punti di immersione dell’isola. Il governo, riconoscendo il valore inestimabile del reef, è stato il primo ad emanare restrizioni in tal senso. 

La speranza è che sempre più nazioni seguano l’esempio di questi Stati, guardando al futuro e adottando delle politiche di protezione degli organismi marini. 

Augurandoci di poterci tuffare ancora per molto tempo in un mare ricco e sano, Worldrise augura a tutt* buone vacanze!

Foto Di Ralf Schlegel Via Unsplash

Bibliografia 
Autrice: Sara Parigi

Sara è volontaria Worldrise e autrice per SeaMag dal 2021. Attualmente è iscritta al terzo anno di Scienze Biologiche presso l’Università di Firenze. Appassionata di cetacei fin da quando era bambina, se fosse un animale marino sarebbe una balenottera, un po’ schiva e introversa, ma anche pacata e razionale.

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