Forse non tutt* sanno che nel Mar Mediterraneo è presente un Pinnipede: la foca monaca. Worldrise vi porta alla scoperta di questo animale non molto conosciuto.
Le foche sono mammiferi adattati alla vita marina e che, grazie ad uno strato molto spesso di grasso sottocutaneo, sono in grado di vivere in ambienti con temperature bassissime. Non molte persone, però, sanno che anche nei nostri mari è presente una foca: immergiamoci nel mondo di questa specie con 10 curiosità sulla foca monaca mediterranea.

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1. GENERALITA’
La foca monaca mediterranea (Monachus monachus, Hermann 1779) è l’unico pinnipede che abita il Mar Mediterraneo. Al giorno d’oggi ne restano circa 700 individui, ma la popolazione sembra essere in ripresa. È un Focide di taglia medio-grande con una lunghezza tra i 240 e i 250 cm circa. Una foca monaca adulta può raggiungere un peso compreso tra i 240 e i 300 kg.
2. MA CHI SONO I PINNIPEDI?
I Pinnipedi sono i Carnivori presenti sulla Terra che più di tutti si sono adattati alla vita in mare, in quanto ne rappresentano il ramo evolutivo che durante l’Oligocene, circa 30 milioni di anni fa, si è specializzato per la vita nell’ambiente acquatico. I Pinnipedi comprendono le famiglie Otariidae (otarie e leoni marini), Odobenidae (trichechi) e Phocidae (foche).

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3. UN NOME CURIOSO
Il nome di questo animale deriva dal colore del mantello, simile a quello del saio dei monaci. Presso le popolazioni costiere, la foca monaca è conosciuta anche con altre denominazioni: “bove di mare” nell’Alto Tirreno, “foca”, “bai”, “vitellu marinu” in Sardegna, “foca marina” in Calabria, “vacca di mare” o “bove di mare” in Sicilia, “bue marino” o “foca bianca” in Puglia. La sua presenza, inoltre, ha suggerito il nome di diverse località costiere: numerose, infatti, le “grotte del bue marino”, ce ne sono quattro nella sola Sardegna, la più famosa delle quali nel Golfo di Orosei.
4. DISTRIBUZIONE IERI E OGGI
Il suo antico areale comprendeva il Mar Mediterraneo, il Mar Nero, l’Oceano Atlantico dal nord della Spagna al sud del Marocco, le Isole Canarie, le Isole Azzorre e Madeira. Al giorno d’oggi, la foca monaca mediterranea può essere osservata in tre grandi subpopolazioni presenti nella penisola di Cabo Blanco (Sahara occidentale), nell’arcipelago di Madeira e nel Mediterraneo orientale, principalmente tra Grecia, Cipro e Turchia. Sempre più individui però sono stati avvistati lungo le coste mediterranee (Italia compresa), lontano dalle colonie, segno che questo pinnipede sta riconquistando alcuni dei territori in cui viveva in passato.

5. COSA MANGIA?
L’alimentazione è prevalentemente carnivora e le analisi dei contenuti stomacali delle foche monache mediterranee indicano che si nutrono di una grande varietà di prede come Crostacei, Cefalopodi, Pesci ossei e cartilaginei, tra cui triglie, sparidi, mugilidi, cernie, carangidi, boghe, salpe, dentici, murene, gronchi, anguille e razze.
6. UN SALTO INDIETRO NELLA STORIA
Le foche monache sono state sfruttate dall’uomo fin dalla preistoria: questo fenomeno è stato particolarmente intenso durante l’epoca romana e in alcune aree, come le Isole Canarie, Madeira e la baia di Dhakla nel Sahara occidentale, anche durante il Medioevo, quando le foche monache erano utilizzate per scopi commerciali. L’animale era cacciato prevalentemente per la pelle, la carne, il grasso e l’olio. La specie ha continuato ad essere perseguitata dai pescatori durante il XX secolo, perché considerata un competitore nell’attività ittica e ciò l’ha portata alla scomparsa dalla gran parte delle zone che occupava.

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7. SEGNI DISTINTIVI
I maschi adulti di foca monaca mediterranea appaiono di colore nero, con una grande chiazza bianca sul ventre, unica per ogni individuo. Le femmine adulte della specie, invece, sono solitamente marroni o grigie, con la parte ventrale del corpo che mostra una colorazione più chiara. I cuccioli hanno un pelame morbido, lungo e lanoso e un mantello il cui colore vira dal nero al marrone cioccolato, con una chiazza bianca sul ventre che varia in forma, dimensione e posizione tra i differenti individui e in base al sesso.
8. DOVE VIVE?
La vita della foca monaca mediterranea, così come quella di tutti i Pinnipedi, si divide tra la terra e il mare: il parto e l’allattamento, infatti, avvengono sulla terraferma. Prove storiche suggeriscono che le foche monache del Mediterraneo una volta sostavano nelle spiagge aperte, come fanno tuttora a Cabo Blanco, lungo la costa africana dell’Oceano Atlantico. In tempi più recenti è stato osservato che frequentano anche scogliere rocciose, dove usano le grotte marine per riposarsi, partorire e allattare.

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9. MINACCE
Le ragioni principali del recente e drammatico calo delle popolazioni di foca monaca mediterranea sono riconducibili all’aumento della pressione antropica, che induce le foche a spostarsi dal loro habitat, ma anche a fenomeni di distruzione e alterazione di quest’ultimo, alla mortalità indotta dall’uccisione deliberata, al bycatch, ovvero la cattura accidentale delle specie durante l’attività di pesca, e a una moria di massa nella colonia di Cabo Blanco. Potenzialmente, anche la limitata disponibilità di fonti alimentari, la consanguineità genetica e l’inquinamento potrebbero costituire una minaccia per la sopravvivenza della foca monaca mediterranea.
10. PROSPETTIVE FUTURE E CONSERVAZIONE
Al giorno d’oggi la foca monaca del Mediterraneo è legalmente tutelata in tutto il suo areale attraverso legislazioni nazionali, convenzioni regionali e internazionali, nonché regolamenti dell’Unione Europea. Secondo la Direttiva del Consiglio Europeo 92/43EEC, la foca monaca mediterranea è considerata una specie di importanza comunitaria. Negli ultimi due decenni, in tutto l’areale della specie è stata intrapresa un’azione diffusa per la conservazione della foca monaca mediterranea. In particolare, nelle aree in cui vivono e si riproducono importanti popolazioni di foche monache (vale a dire Grecia, Turchia, Arcipelago di Madeira e Cabo Blanco), sono state realizzate iniziative a lungo termine per sensibilizzare la popolazione umana locale alla conservazione della foca monaca, per proteggere i siti dove crescono i cuccioli, limitare l’uso degli attrezzi da pesca e rivedere le pratiche di pesca più avverse, in modo da sviluppare programmi di monitoraggio e protocolli di intervento e aumentare la capacità in loco di riabilitare individui malati e feriti.

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