Nell’ultimo appuntamento della rubrica dedicata agli ambienti profondi, tuffiamoci alla scoperta delle piane abissali e delle comunità che le abitano!
Canyon, montagne sottomarine, vents e seeps, pur essendo ecosistemi importantissimi per la vita sommersa, rappresentano solo una percentuale minima del fondale profondo. La superficie oceanica è costituita infatti per il 75% dalle piane abissali, che ricoprono il nostro pianeta per circa 250 milioni di km2. Questi habitat sono caratterizzati da uno scarso apporto di materia organica, ma occasionalmente le carcasse di grandi cetacei che sprofondano in questi ambienti possono sostenere per mesi comunità peculiari specializzate.

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CARATTERISTICHE DELLE PIANE ABISSALI
Le piane abissali costituiscono da sole oltre il 40% della superficie terrestre e si trovano comunemente tra i 4.000 e i 6.000 m di profondità. Sono generalmente aree pianeggianti o con lieve pendenza, che si formano a partire da nuova crosta oceanica generatasi dalle dorsali. Le piane abissali si accrescono, grazie alla fuoriuscita di lava, con un tasso di 20-100 mm all’anno; il nuovo fondale basaltico viene ricoperto in breve tempo da strati sedimentari, principalmente composti da argilla e limo. Il substrato è, quindi, quasi esclusivamente mobile.
Nonostante appaiano omogenei, questi ecosistemi sono caratterizzati da elevata complessità idrodinamica. Diversi studi, condotti con l’ausilio di sistemi di ripresa subacquea all’avanguardia, hanno evidenziato il verificarsi di fenomeni periodici e massivi di deposizione di fitodetrito, prodotto nella zona fotica che riceve la luce solare e successivamente sprofondato nella colonna d’acqua.
NEVICA IN FONDO AL MARE!
In genere il budget energetico negli ambienti profondi è negativo, poiché l’assenza di luce fa sì che la produzione primaria sia praticamente nulla. Gran parte della materia organica non viene quindi prodotta in situ, ma raggiunge le piane abissali grazie ad un export dalla zona fotica illuminata: il processo di trasferimento è indicato con l’espressione “pelagic-benthic coupling”.
Le particelle che arrivano sul fondale sono costituite prevalentemente da faecal pellets, ovvero da particelle fecali prodotte dallo zooplancton. Esse sono composte da una sacca polisaccaridica contenente resti fitoplanctonici non digeriti (come i frustoli delle diatomee). Sono presenti anche aggregati amorfi e ammassi gelatinosi formati da muco e polisaccaridi in eccesso. Visto il suo aspetto, il particolato che “piove” sul fondo prende il nome di neve marina.
La sedimentazione della materia organica non è regolare, ma avviene episodicamente, subendo forti oscillazioni per quanto riguarda la durata e l’intensità: ciò è legato alla stagionalità dei bloom fitoplanctonici e alle correnti.
ALLA SCOPERTA DELLA FAUNA
Le piane abissali sono molto poco conosciute e lo studio di questi ecosistemi è una delle nuove frontiere della biologia marina. La fauna è costituita principalmente da crostacei e policheti; a quest’ultimo gruppo appartiene Myriochele fragilis, un verme che ha creato colture monospecifiche in alcune aree profonde del Mediterraneo e che, stranamente, date le caratteristiche assai differenti di questi mari, è anche la specie più abbondante nell’Oceano Artico. Anche i pesci demersali, che nuotano attivamente nei pressi del fondale, sono presenti in questi habitat, sebbene vi siano notevoli differenze tra le popolazioni mediterranee e oceaniche, non solo per quanto riguarda le specie, ma anche in termini di caratteristiche riproduttive e dimensioni.
A causa della totale mancanza di luce, la colorazione corporea non ha un valore adattativo e la maggior parte degli organismi non presenta livree vistose. Alcune specie, però, che probabilmente si sono insediate nelle piane abissali in tempi relativamente recenti, hanno conservato una pigmentazione: ad esempio, alcuni policheti della famiglia dei Polynoidae presentano una livrea violetta, mentre i crinoidi del genere Bathycrinus sono gialli. Inoltre, quasi tutti gli animali abissali non hanno occhi oppure li hanno rudimentali; l’unica eccezione è data dallo squalo portoghese (Centroscymnus coelolepis), che presenta due occhi color giada altamente sviluppati.
RACHITISMO E GIGANTISMO ABISSALI
In alcuni organismi degli ambienti profondi, specialmente nei bivalvi e nei crostacei, è frequente un fenomeno conosciuto come “rachitismo”, ovvero una riduzione del tasso di calcificazione delle formazioni esoscheletriche. Ciò è legato ad un deficit di carbonato di calcio, necessario per lo sviluppo di gusci e conchiglie: infatti, le creature abissali vivono oltre la profondità di compensazione dei carbonati, cioè la profondità al di sotto della quale il tasso di deposizione è inferiore a quello di dissoluzione, che si colloca fra i 4.000 e i 5.000 m. Questi animali, dunque, hanno il costante problema del mantenimento delle formazioni scheletriche a dispetto del gradiente che porta alla dissoluzione.
La caratteristica opposta di molti invertebrati bentonici abissali è la tendenza all’aumento di dimensioni corporee all’aumentare della profondità, nota come gigantismo. Ogni specie possiede un numero costante di cellule e l’incremento nelle dimensioni corporee, quindi, è dovuto ad un aumento delle dimensioni delle cellule, anziché ad un numero maggiore di esse. Si pensa che il gigantismo sia evoluzionisticamente favorito in questi habitat perché animali di dimensioni maggiori disperdono meno calore, ma alcuni scienziati hanno avanzato anche altre ipotesi, fra cui una maggiore resistenza alla pressione idrostatica.
Tra i giganti ultra-abissali rientrano molte specie di isopodi e di anfipodi: un esempio è fornito dall’isopode Bathynomus giganteus, che raggiunge i 50 cm, mentre i membri costieri di questo gruppo non superano uno o pochi cm di lunghezza.
I SISTEMI A CARCASSA DI BALENA
Nelle piane abissali possono insediarsi, in seguito allo sprofondamento di una carcassa di balena, comunità davvero uniche. Un cetaceo che pesa circa 40 tonnellate apporta al sistema una quantità di carbonio pari a quello che normalmente sedimenta in 200 anni.
Vi è una successione di stadi di colonizzazione, che si ripete identica per ogni deposizione di carcassa:
- STADIO A SCAVENGER MOBILI: si instaura il primo mese dopo l’affondamento. In questa fase, i tessuti molli vengono aggrediti da missine e squali.
- STADIO DEGLI OPPORTUNISTI: della durata di 4-24 mesi, lo stadio vede la colonizzazione della carcassa da parte di policheti, gasteropodi e bivalvi.
- STADIO SULFOFILICO: in questo stadio le ossa delle balene, costituite per il 60% da grassi, vengono interessate dalla decomposizione microbica anaerobica dei lipidi. La riduzione dello zolfo sostiene comunità chemioautotrofe.
- STADIO A REEF: nell’ultima fase sono presenti solo ossa sul fondale e tutta la materia organica disponibile è stata utilizzata. Lo scheletro funge da punto di attacco per molluschi come Idas washingtonia, Pyropelta corymba e Cocculina craigsmithi.
L’esistenza di queste ricche comunità è strettamente vincolata alla numerosità delle popolazioni dei grandi cetacei, minacciati da secoli dalle attività umane. La maggior parte delle specie sono state decimate e, ancora oggi, Stati come il Giappone e la Norvegia continuano la caccia alla balena. Inoltre, un’altra importante minaccia è l’inquinamento, sia chimico che acustico.

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Risulta quindi evidente come sia necessario proteggere il mare nella sua interezza, poiché tutto è interconnesso, dalle dune costiere alle barriere coralline, dalle foreste di mangrovie alle profondità oceaniche. In particolar modo, gli abissi sono regolati da equilibri di cui ancora non abbiamo un quadro ben preciso, ma che è fondamentale scoprire per sapere come tutelarli.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
- Biologia marina-Biodiversità e adattamento degli ecosistemi marini, Roberto Danovaro, ed. UTET
- Biologia marina, Peter Castro, Michael E. Huber, ed. Mc Graw-Hill
- https://www.blogalileo.com/bathynomus-giganteus-il-piccolo-gigante-degli-abissi/
- https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0967063716303739
- https://www.colapisci.it/PescItalia/pisces/elasmobranchi/Squaliformes/Somnosidae/Centroscymnuscoelolepis.htm
- https://www.sciencedirect.com/topics/earth-and-planetary-sciences/benthic-pelagic-coupling
- https://www.marinespecies.org/aphia.php?p=taxdetails&id=450015
Autrice: Sara Parigi
Sara è volontaria Worldrise e autrice per SeaMag dal 2021. Attualmente è iscritta al terzo anno di Scienze Biologiche presso l’Università di Firenze. Appassionata di cetacei fin da quando era bambina, se fosse un animale marino sarebbe una balenottera, un po’ schiva e introversa, ma anche pacata e razionale.