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Andrea Centini, giornalista di Fanpage, racconta per Worldrise il ritorno dei “soffi” nei mari polari dopo decenni.

Il 1986 è un anno particolarmente significativo nella storia della conservazione della biodiversità, essendo quello in cui entrò in vigore il divieto di caccia commerciale alle balene dopo secoli di massacri. La moratoria, votata anni prima (il 23 luglio del 1982), fu sottoscritta da quasi tutti i Paesi membri della Commissione internazionale per la caccia alle balene o IWC (International Whaling Commission), un’organizzazione nata poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale con l’obiettivo di regolamentare il prelievo dei grandi cetacei. Fu dunque una svolta per la tutela di questi meravigliosi mammiferi marini, dei quali diverse specie furono portate sull’orlo dell’estinzione a causa di un’industria sempre più efficiente e spietata, che si avvaleva di navi trasformate in officine galleggianti per processare le carcasse subito dopo la cattura. 

 

L’“epoca d’oro” della baleneria, come si suole definirla, collimò con la diffusione del motore a vapore, che permise ai marinai di raggiungere agevolmente anche le incontaminate regioni polari. Iniziò così la caccia sistematica a cetacei veloci e potenti come la balenottera azzurra (Balænoptera Musculus), il più grande animale attualmente vivente e uno dei più maestosi mai vissuti sulla Terra, in grado di rivaleggiare con i dinosauri sauropodi del Mesozoico. Le enormi dimensioni – 33 metri di lunghezza massima per 200 tonnellate di peso – furono tuttavia una condanna per questa iconica specie. I balenieri ne uccisero talmente tanti esemplari che oggi, secondo le stime degli esperti, ne sopravvivrebbe appena l’1 percento di quelli che popolavano mari e oceani prima della baleneria. Nei soli mari Antartici, secondo i registri ufficiali, ne furono massacrate oltre 330mila in pochi decenni, uno sterminio in piena regola che cancellò quasi del tutto la popolazione migratoria nell’emisfero Sud. Con l’entrata in vigore del divieto di caccia alle balenottere azzurre, anni prima della moratoria della IWC poiché furono proprio i balenieri ad accorgersi che non ve n’erano più da cacciare, la specie fu salvata a un passo dalla scomparsa. Oggi, pur essendo ancora classificata come in pericolo di estinzione (codice EN – Endangered) nella Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e incombano diverse minacce, la specie si sta lentamente riprendendo, e la scoperta di nuove popolazioni – e addirittura di una possibile, nuova sottospecie – lasciano ben sperare per il futuro, anche grazie all’istituzione delle fondamentali Aree Marine Protette.

Balene ai poli 1

Megattere in Antartide

Lo studio “South Georgia blue whales five decades after the end of whaling” guidato da biologi marini della Scottish Association for Marine Science (SAMS) ha dimostrato che attorno all’isola sub-antartica della Georgia del Sud – recentemente finita nel mirino di un enorme iceberg – sono stati catalogati 41 nuovi esemplari di balenottera azzurra negli ultimi 10 anni. “La Georgia del Sud ha visto circa 3.000 balenottere azzurre uccise ogni anno al culmine della caccia all’inizio del XX secolo”, ha affermato su The Conversation la professoressa Lauren McWhinnie, docente di Geografia Marina presso la Heriot-Watt University. A decenni di distanza dallo stop ai massacri, i magnifici giganti del mare sono tornati ad alimentarsi in questa regione fredda e pescosa. “Le acque che circondano l’isola sono ricche del krill che mangiano queste balene, e gli scienziati ritengono che il loro ritorno preannunci una ‘riscoperta’ di questa dispensa oceanica da parte delle nuove generazioni”, ha aggiunto la scienziata. 

 

Incoraggianti segnali di ripresa giungono anche da altri grandi cetacei misticeti che popolano i mari antartici, per i quali le fredde e ricche acque alla “fine del mondo” rappresentano una tappa fondamentale del proprio ciclo biologico. Lo studio “High pregnancy rates in humpback whales (Megaptera novaeangliae) around the Western Antarctic Peninsula, evidence of a rapidly growing population” del 2018, ad esempio, evidenzia una costante crescita della popolazione di megattere nella Penisola Antartica Occidentale, con numeri significativi di femmine incinte osservate nei periodi migratori. Durante l’indagine è stato osservato che il 54,5% delle femmine in gravidanza era accompagnato da un piccolo, sintomo di una popolazione in ripresa ed essenzialmente in salute. “Questi alti tassi di gravidanza sono coerenti con una popolazione che si sta riprendendo dallo sfruttamento passato”, hanno spiegato gli autori dello studio, pur sottolineando che sono necessarie ulteriori indagini per comprendere meglio le dinamiche della crescita, tenendo anche presente l’impatto dei cambiamenti climatici. L’aumento delle temperature e il conseguente scioglimento dei ghiacci rischia infatti di creare enormi disequilibri ecologici nelle acque polari, modificando ad esempio distribuzione e disponibilità del plancton, alla base dell’intera catena trofica al cui vertice si trovano (anche) le balene.  

Balene ai poli 2

Buone notizie per i grandi cetacei misticeti (quelli con i fanoni) arrivano anche dalla regione artica. Secondo recenti studi condotti sulle balene della Groenlandia (Balaena mysticetus), l’unica specie di misticete che vive nelle gelide acque dell’Artico tutto l’anno, le popolazioni sono in costante ripresa dopo gli stermini perpetrati per secoli, fino al 1966. Per quella al largo dell’Alaska, tra mare dei Chukchi, Bering e Beaufort (Artico occidentale), i numeri degli esemplari osservati stanno raggiungendo gli stessi dell’epoca antecedente alla caccia commerciale, spiega la professoressa Lauren McWhinnie, citando l’articolo “Abundance and population trend (1978-2001) of western arcticbowhead whales surveyed near Barrow, Alaska”. Anche la balena della Groenlandia è stata decimata dai balenieri e, sebbene sia attualmente classificata come a rischio minimo (codice LC) nella Lista Rossa dell’IUCN, complessivamente oggi ne sopravvivono decine di migliaia di esemplari in meno rispetto a quelli che un tempo popolavano le acque artiche. La specie, inoltre, è ancora coinvolta nella caccia tradizionale, con alcuni esemplari prelevati ogni anno da Inuit, Yupik e altri popoli del nord. Nel 2017 fece il giro del mondo la notizia di un ragazzo di soli 16 anni che uccise un esemplare secolare. Le balene della Groenlandia sono infatti tra i vertebrati più longevi in assoluto, benché il record spetti agli squali della Groenlandia, con 400 anni di vita stimati.

 

Nelle acque artiche è significativa anche la presenza delle balenottere minori (Balaenoptera acutorostrata) e delle balenottere comuni (Balaenoptera physalus), “che ora vengono regolarmente avvistate nel mare dei Chukchi”, ha spiegato la professoressa McWhinnie. La balenottera comune, l’unica specie di misticete regolarmente presente nel Mar Mediterraneo, pur essendo attualmente classificata come “vulnerabile” nella Lista Rossa della IUCN, è ancora nel mirino delle baleniere della Norvegia, uno dei pochissimi Paesi a perpetrare la caccia commerciale ai grandi cetacei, assieme a Islanda e Giappone. Proprio il Giappone l’ha riaperta ufficialmente il 1 luglio del 2019, dopo lo strappo definitivo con la IWC, ma per decenni ha continuato a massacrare cetacei – soprattutto balenottere minori antartiche (Balaenoptera bonarensis) – nei mari dell’estremo sud, con la “scusa” della ricerca scientifica. Nel mirino delle baleniere nipponiche, oltre alle balenottere minori, oggi vi sono anche le balenottere di Bryde (Balaenoptera edeni) e le balenottere boreali (Balaenoptera borealis). L’unica differenza con il recente passato è che adesso i cetacei vengono cacciati solo in acque territoriali nipponiche, e non più nelle acque antartiche e sub-antartiche, dove spesso le baleniere sconfinavano in Aree Marine Protette.

Balene ai poli 3

Grazie alla conclusione dei massacri del passato, alle rigide forme di tutela introdotte a livello internazionale e all’istituzione di riserve naturali (benché non ancora sufficienti), tutte le specie di cetacei citate finora stanno mostrando una certa resilienza, ma ce n’è una che è stata talmente decimata da aver spinto alcuni scienziati a ritenerla “funzionalmente estinta”, ovvero priva di un impatto ecologico nell’ecosistema in cui vive, a causa dell’esiguo numero di esemplari viventi. Stiamo parlando della balena franca nordatlantica (Eubalaena glacialis), della quale ne restano soltanto poche centinaia di esemplari (circa 400), secondo le stime più recenti. Non a caso, è classificata come in pericolo critico di estinzione (codice CR) nella Lista Rossa della IUCN. Il nome comune di questa specie è stato assegnato dai balenieri stessi, che l’hanno definita “franca” proprio perché facile da cacciare; si tratta infatti di un cetaceo lento – non erano necessarie navi a vapore per inseguirlo e arpionarlo –, che galleggia dopo l’uccisione, grazie all’abbondante strato di grasso a bassa densità. Queste caratteristiche sono state il volano per lo sterminio, dal quale le balene franche nordatlantiche potrebbero non risollevarsi mai più, nonostante i decenni di protezione.

 

Oggi tra le minacce principali che affrontano i grandi cetacei vi è il traffico navale, il cui incremento costante non solo ha aumentato il tasso di collisioni mortali, ma anche il rumore sottomarino, che complica – o rende addirittura impossibile – la comunicazione per questi animali. Anche le reti da pesca abbandonate (le cosiddette “reti fantasma”) e i già citati cambiamenti climatici rappresentano pericoli assolutamente da non sottovalutare, non solo per i mammiferi marini, ma per tutta la meravigliosa biodiversità che popola mari e oceani del pianeta. L’istituzione di nuove Aree Marine Protette, l’azzeramento delle emissioni di gas a effetto serra, una pesca davvero sostenibile e il contrasto all’inquinamento da plastica sono tra le principali misure che dobbiamo prendere per proteggere la biodiversità e anche noi stessi.  

Balene ai poli 4

Bibliografia
Autore: Andrea Centini

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