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La storia dell’evoluzione dei batteri marini è antica come la storia della vita stessa e il numero di specie appartenenti al biota dell’oceano è enorme. Tuffiamoci alla scoperta di questi organismi invisibili quanto straordinari!

I batteri risultano essere centrali nei processi regolatori di tutti gli ecosistemi marini: sono, infatti, riusciti a colonizzare ogni ambiente, dalle acque superficiali alle fosse oceaniche, dai bacini ipersalini ai camini idrotermali profondi. In 1L di acqua di mare possono essere presenti fino ad un miliardo di batteri e, se potessimo pesare tutti i microbi marini, essi peserebbero circa come 260 miliardi di elefanti!

Immagine via Canva

I BATTERI FOTOSINTETICI

La zona eufotica, ovvero quella in cui arrivano i raggi solari, è dominata da batteri fotosintetici che, con la loro attività, producono ben metà dell’ossigeno che respiriamo e assorbono circa un terzo di CO₂ presente in atmosfera. I cianobatteri sono stati il primo gruppo di microrganismi a sfruttare l’energia solare per produrre ossigeno ed è merito loro se la vita sulla Terra si è evoluta in questo modo. Un ambiente ricco di O₂ ha, infatti, favorito quegli organismi capaci di sfruttarlo, compresi i lontanissimi antenati degli animali attuali. La fotosintesi ossigenica è possibile grazie alla presenza di particolari pigmenti, il più importante dei quali è la clorofilla. Questi batteri, però, utilizzano anche parti dello spettro luminoso non utilizzate dalle piante terrestri, perché possiedono anche altri pigmenti: la ficocianina e la ficoeritrina. In superficie, dove sono presenti tutte le componenti cromatiche del fascio luminoso, prevale la produzione di ficocianina, mentre più in profondità, dove arriva solo la luce blu, viene prodotta ficoeritrina. In questo modo, l’attività fotosintetica viene massimizzata, poiché il batterio riesce a ricavare più energia dalla luce disponibile alle varie profondità.

Inoltre, oltre a costituire il primo anello della catena alimentare, i cianobatteri sono essenziali per gli ecosistemi, in quanto convertono l’azoto atmosferico, non utilizzabile direttamente dagli altri esseri viventi, in composti impiegabili per la sintesi di biomolecole (come proteine e acidi nucleici).

Immagine via Canva

SPECIALISTI DEL RICICLO

Anche i batteri non fotosintetici, però, sono importanti per la salute dell’oceano. In mare, infatti, una frazione considerevole di materia organica viene rilasciata nell’ambiente, andando a costituire quello che è stato chiamato “detrito”. I batteri marini si cibano delle componenti del detrito organico, che altrimenti andrebbero perse: in questo modo trasferiscono energia ai livelli superiori della catena alimentare, riciclando le sostanze. Questo processo, definito “microbial loop”, risulta essere essenziale per la comprensione dell’ecologia marina, perché permette di capire come l’attività di questi organismi abbia ricadute su quelle di tutti gli altri.

È stato recentemente scoperto che la stabilità della temperatura della Terra dipende in maniera significativa dai Pelagibacterales, un gruppo di minuscoli batteri marini, tra gli organismi più abbondanti del pianeta. Infatti, una particolare sostanza da essi prodotta, il dimetilsolfuro, ha un’azione aggregante sulle particelle di vapore acqueo presenti in atmosfera, facilitando la formazione di nubi.

L’UNIONE FA LA FORZA

Gli ambienti acquatici offrono un buon numero di opportunità e di sfide per l’evoluzione di simbiosi tra macro- e micro-organismi. Le simbiosi microbiche, specialmente con gli invertebrati, sono piuttosto comuni e portano vantaggi considerevoli ad entrambi i simbionti.

  • Seppia bobtail hawaiana

La seppia bobtail hawaiana ospita, in un organo posto nella parte ventrale, un’abbondante popolazione del batterio luminescente Aliivibrio fischeri . La luce emessa dal batterio funziona da controilluminazione e aiuta la seppia a rendersi meno visibile ai predatori che la attaccano da sotto. Dall’altro lato, A. fischeri trova un posto sicuro dove crescere rapidamente e mantenere così numerosa la sua popolazione.

Sono stati condotti numerosi esperimenti per verificare la specificità della simbiosi e capire come le giovani seppie, che non contengono ancora cellule batteriche, riconoscano il ceppo giusto. Il primo passo del riconoscimento avviene grazie alla secrezione di muco, che causa l’aggregazione solo di alcuni gruppi batterici. All’interno di questi aggregati Aliivibrio fischeri è in grado di competere efficacemente, stabilendo una coltura pura in circa 2 ore. Questo avviene perché il muco della seppia contiene ossido nitrico, tossico per tutte le altre cellule batteriche aggregate.

Seppia bobtail hawaiana – Foto via Canva

  • Pogonoforo Riftia  

I batteri chemiosintetici permettono ad altri organismi di colonizzare ambienti estremi, quali le oasi idrotermali, perché forniscono loro energia da fonti di zolfo e metano. Un esempio è dato dal pogonoforo Riftia pachyptila, un animale vermiforme che vive attaccato al fondale.

Il suo corpo, privo di apparato digerente, ospita una comunità di microbi endosimbionti che gli forniscono il nutrimento, senza i quali non potrebbe sopravvivere. Mediante il pennacchio ampiamente vascolarizzato, Riftia scambia con l’ambiente ossigeno e solfuri per rifornire i batteri; l’emoglobina dell’animale possiede anche un’elevata affinità per lo zolfo, che viene così trasportato all’interno del corpo, nella zona che ospita la comunità microbica.

Pogonoforo Riftia – foto via naturaanimali.net

FONDAMENTALI PER L’OCEANO E DI AIUTO PER L’UOMO

Questi esempi forniscono solo un’idea di come i batteri siano determinanti per l’oceano. Oltre a questo, possono essere anche un valido aiuto in caso di disastri petroliferi: nel 2010 l’esplosione della piattaforma di trivellazione Deepwater Horizon ha rilasciato nel Golfo del Messico un’enorme quantità di idrocarburi, che specifici batteri sono stati in grado di trasformare in composti più facilmente degradabili. Il danno ambientale è stato enorme, ma l’azione dei batteri ha mitigato molto gli effetti: la sfida adesso è quella di elaborare tecnologie di biorisanamento, cioè tecniche specifiche di bonifica basate sull’attività dei microrganismi.

Il disastro petrolifero avvenuto nel 2010 nel Golfo del Messico – foto via levinlaw.com

In determinate condizioni, però, i batteri possono proliferare in modo incontrollato, tanto da colorare le acque e formare schiume in superficie. Ciò spesso è legato all’elevata concentrazione di fosforo e azoto (fenomeno chiamato eutrofizzazione) ed è riconducibile ad attività umane come scarichi civili, industriali e attività agricole. L’alterazione dei rapporti tra le popolazioni può avere gravi ricadute sulla dinamica dell’ecosistema e la presenza massiccia di batteri può essere pericolosa anche per l’uomo, in quanto molte specie sono in grado di produrre tossine.

I batteri, quindi, fanno parte di un fragile sistema in cui tutto è interconnesso e che noi umani non dobbiamo alterare!  

Bibliografia e sitografia
  • “Biologia marina”, Roberto Danovaro, ed. UTET
  • “Biologia dei microrganismi: microbiologia generale, ambientale e industriale”, Brock, ed.Mylab
  • https://www.lescienze.it/news/2016/05/18/news/batteri_marini_stabilita_temperatura_terra-3091739/
  • https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/c/cianobatteri-e-balneazione
  • https://clu-in.org/download/citizens/a_citizens_guide_to_bioremediation
Autrice: Sara Parigi

Sara è volontaria Worldrise e autrice per SeaMag dal 2021. Attualmente è iscritta al terzo anno di Scienze Biologiche presso l’Università di Firenze. Appassionata di cetacei fin da quando era bambina, se fosse un animale marino sarebbe una balenottera, un po’ schiva e introversa, ma anche pacata e razionale.

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